Questa è la pagina dedicata a Antonella Anedda.
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Geografie
Una voce prestigiosa si misura con la bellezz e il senso dei luoghi che abitiamo
«Ci fa pensare che sia ancora possibile immaginare una realtà che non sia tutta ridotta a polvere e scarto.» – Alberto Asor Rosa, la Repubblica «La sua è la chiarezza conquistata a fatica di un poeta che fa musica dal quotidiano.» – Times Literary Supplement Antonella Anedda è uno di quei poeti che sa coniugare – cosa rara – i caratteri della poesia più densamente espressiva con le ragioni di quella più raffinata e analitica. Già stabilmente accolta nel canone letterario dei nostri giorni, dalla sua prima raccolta di versi, “Residenze invernali” del 1992, all’ultima, “Historiae” del 2019, l’autrice ha mantenuto intatta la propria vocazione originaria, in un tragitto che ha visto affilarsi sempre più gli strumenti e le tecniche di una poesia originale, intensa, spesso sorprendente. In questo suo nuovo libro, dove la densità della lingua poetica è magistralmente cucita nella stoffa della prosa, Anedda parla di luoghi, dalla foresta pietrificata di Lesbos al monte Toc, di isole e di mari, usuali e allo stesso tempo straordinari. Ma sullo sfondo di “Geografie”, dietro i luoghi che evoca, c’è la riflessione sul significato profondo dei mutamenti, siano questi biologici o geologici, politici o climatici.Historiae
Eppure non ha senso rimpiangere il passato, provare nostalgia per quello che crediamo di essere stati. Ogni sette anni si rinnovano le cellule: adesso siamo chi non eravamo. Anche vivendo – lo dimentichiamo – restiamo in carica per poco. La poesia di Antonella Anedda è caratterizzata da sempre da una specie di sguardo a raggi infrarossi, da una capacità percettiva in grado di illuminare figure dell’invisibile, di evocare assenze e mancanze. E anche in questo libro, raccontando le tragedie dei migranti affogati nei nostri mari o la vita di chi va a cercare qualche avanzo nei cassonetti dei rifiuti, sono soprattutto le immagini a far procedere le «historiae» Immagini che riportano alla luce ciò che non si vuole vedere. Il rimosso storico è dunque al centro del libro, ma intrecciato con incursioni nella lingua sarda ed elaborazioni di lutti personali. Come se non ci fosse differenza tra pubblico e privato e l’angoscia fosse tutt’una. Ma oltre alla storia, piú della storia, ci sono la geografia e la geologia. La prima e l’ultima sezione, che incorniciano il nucleo piú politico del libro, sono dedicate a paesaggi allo stesso tempo concreti e metafisici, e alle ossa dei morti che ci ricordano l’appartenenza alla natura pietrosa dell’universo.
Residenze invernali
«A chi legga, e per la prima volta, la poesia di Antonella Anedda vorrei offrire un piccolo studio, addirittura specifico ad un solo testo: un discorso, dunque, non prefatorio ma in sé inaugurale di un’attenzione, da sempre promessa e vissuta, al senso della poesia. Del resto, è ancora una volta lo studio la possibilità davvero gratuita nei confronti di un esordio letterario. Quasi a fine di libro, leggiamo “Hanno raccolto le lampade, avvolto gli oggetti”, ovvero la sesta parte di “Chiusa di vento”. Le forme polimetriche appaiono complesse: inserti di prosa insieme a versi limpidissimi; improvvisa recisione di un verso fuori squadro, sgranato e mosso spazialmente, accanto all’uso continuo, spesso folgorante, del corsivo. Una lingua così aperta resta sorprendente; e lascia una pausa nel lettore, un’immediata e profonda intimità, pur senza riconoscimenti. Questa pausa è già il tributo di una conversione poetica: come comprendere quella verticalità lirica, tanto struggente quanto levigata, che sembra rinunciare a qualsiasi immaginazione (intendo l’alimento o quelle pienezze timbriche che danno subito un mondo) per accedere, piuttosto, ad una sorta di ombra poverissima, alla verticalità di un’esperienza insieme inevitabile e sottile, ancora insistita eppure sconvolta dal primo soffio: quasi che le stesse parole nascano allontanate dalla loro stessa origine, vicinissime ai limiti acustici dell’ascolto, della comprensione – del destino.» (dalla Premessa di Arnaldo Colasanti)
Tacete o maschi. Le poetesse marchigiane del ‘300 accompagnate dai versi di Antonella Anedda, Mariangela Gualtieri e Franca Mancinelli
Nel Trecento, in Italia, più precisamente nel territorio marchigiano, quando nel porto di Ancona arriva la «bianca carta» dall’Oriente e sorgono, a Fabriano, le prime cartiere del mondo cristiano, alcune giovani autrici, probabilmente le prime in Italia a costituire un vero nucleo letterario composto di sole donne, si scrivono l’un l’altra messaggi in forma di sonetto, affrontando, in netto anticipo sulla «Querelle des femmes» che avrebbe infiammato il Rinascimento, temi specifici quali la contestazione delle norme patriarcali e la particolarità della loro condizione di subordinazione alla poetica e al dominio maschile nel mondo della Politica e delle Lettere. Settecento anni dopo, nella complessità dell’odierno globalizzato, la questione di genere è ancora, con una forza e una vitalità senza precedenti, una questione fondamentale per l’intera società. Proprio per questo, abbiamo chiesto a Mariangela Gualtieri, Antonella Anedda e Franca Mancinelli, poetesse tra le più autorevoli del nostro tempo, di rispondere in versi, secondo l’uso antico, alle scrittrici marchigiane, ciascuna secondo il proprio stile e le proprie affinità, in un dialogo intimo, ma apertissimo, tra epoche, scritture e, appunto, tra generi. A scandire il dialogo, valicando la «bianca carta» come un confine aperto, le visioni senza tempo dell’artista Simone Pellegrini, che estendono il discorso intrapreso verso il superamento di ogni distinzione, trapassando i generi nell’intreccio dei corpi e delle parole.
Isolatria. Viaggio nell’arcipelago della Maddalena
Santo Stefano è un geco sollevato sulle zampe posteriori, una piccola iguana, Barretti e Barrettini due mosche di pietra, Spargi un ragno e le tre isole più lontane, Santa Maria, Razzoli e Budelli, una stella marina con tre punte sfrangiate che potrebbero anche ricordare un anemone. Un arcipelago d’insetti. Le luci si riaccendono, stiamo per attraccare. Chi ha la macchina accende il motore. La Maddalena scintilla, si fa sempre più reale. Sulla mappa ha la forma di una fiamma pietrificata con le lingue del fuoco diramate verso l’alto.
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