Questa è la pagina dedicata a Biancamaria Frabotta.
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Nessuno veda nessuno
In un ampio e articolato ventaglio di temi e situazioni, tra presente e memoria, non solo personale, nella testimonianza attiva di uno sguardo aperto sulle molte trame che compongono un’umana vicenda, Biancamaria Frabotta realizza questa sua nuova, densissima opera. In Nessuno veda nessuno appaiono personaggi vari e anche figure anonime, volti di poeti che ritornano alla mente, compagni di strada che si ripropongono, come in un sorprendente affresco, nel concreto e insieme lieve dettaglio dei loro tratti e caratteri. Frabotta si rivede fin dall’infanzia e dal suo entrare nel mondo, nella sensibile delicatezza delle immagini che emergono da una memoria sempre attiva, delle figure familiari che ne accompagnano il sentimento, e ragiona su quella «melma/del tempo che ci governa e affonda» Le realtà indagate sono dunque innumerevoli, nel progetto forte di un’umana vita, quello di uscire, giorno dopo giorno, da una desolante «cecità senza visione» La poesia di Frabotta respira ad ampio fiato in un vasto territorio, fitto di presenze e riferimenti, muovendosi dal nascere della passione d’impegno sociale e politico, svariando da Epicuro a Trakl, dalla stella Sirio all’Africa della filosofia Ubuntu, in una continua circolazione di umori. In questa esplorazione senza confini, in questa diffusa meditazione lirica, appare anche un luogo di respiro e pace, immerso nella quiete maremmana, in un dialogo, a volte commosso, con presenze spontanee e naturali. Eccoci allora nel campo di un poema composto di interni capitoli sottilmente tra loro connessi, nell’invito incessante ad aprirsi – nel tono e nella pronuncia di una pacata, matura saggezza sensibile – alla necessità di una concezione del vivere che sappia «non farci sentire soli nell’universo» Siamo dunque di fronte a pagine di una intensa densità materica di parola e pensiero, a una riflessione poetica articolata e inquieta sull’esistere, sulla sua condizione precaria, ma nondimeno mirabilmente molteplice.
Tutte le poesie (1971-2017)
Sono come le pulci, i poeti acquattati nel pelo del mondo. Invisibili, se ne stanno passivi nelle ore dolci dei vivi ma in un tale loro modo e così a caso dispersi fra i tanti, singoli vanti. È un lungo, coinvolgente percorso quello in cui ci guida la voce di Biancamaria Frabotta, un percorso di decenni tra i più solidi e duraturi della nostra poesia d’oggi. Nella classica compostezza della sua pronuncia, questa poetessa, tanto amabile e riflessiva, passa dal giovanile ardore, dall’ideologica passione degli esordi, ai mutamenti, lievi quanto essenziali e profondi, di una personale avventura, dentro le lacerazioni e le delusioni dell’epoca, per approdare a un vivo e paziente sentimento dell’esserci. E tutto questo nella luce della poesia, che è il più alto momento di sintesi a sua disposizione e che si evolve nelle progressioni di un viaggio, nella sua bellissima viandanza. Una vicenda poetica, quella di Biancamaria Frabotta, che si muove, sempre in pieno equilibrio di linguaggio e toni, alla ricerca, anche, della meraviglia semplice, nella felice perlustrazione, sempre più fitta, dell’apparentemente minimo o marginale. Fino alla fiducia in una realtà più domestica e del sentimento, quella che troviamo in La pianta del pane che, come scrive Roberto Deidier nella sua limpida postfazione, «è una stanza nuziale ampliata a dismisura, […] la proiezione della propria identità nello sguardo dell’altro» Ma la piana coerenza di questa autrice trova conferma nell’umanissima, antiretorica saggezza del più recente “Da mani mortali” e nella raccolta, dove si accentua l’adesione aperta alla «serena confidenza/delle cose», che non potrà non coincidere con una piena adesione del lettore alla bellezza saggia e impeccabile, pacata e pure cangiante dell’opera di Biancamaria Frabotta. Nota biobibliografica di Carmelo Princiotta.
Velocità di fuga
Il libro degli allievi. per Biancamaria Frabotta: Biblioteca di cultura 748
Questo libro, il libro degli allievi di Biancamaria Frabotta, funziona come un piccolo archivio storico meteoclimatico; un atlante di eventi e temperature registrati, nel corso dei decenni, lì dove continuano a incontrarsi le stesse coordinate. Le flessioni e i picchi dei climi qui rubricati si sono verificati su un’identica, tenace geografia: tutti, sulla stessa mappa, abbiamo raccontato la medesima stagione: quasi quarant’anni d’innamoramenti lirici, passioni civili, piani di studio, versi, lettere, chiacchiere e tesi di laurea.Funziona, questa curiosa seduta di spiritismo, come un reportage corale da quei posti e da quei tempi, come una fuga a più voci (oltre trenta) da ascoltare ininterrottamente, movimento per movimento, rincorrendo le molte eco di temi e contrappunti inseguitisi tra le generazioni nelle aule e nei collettivi, negli archivi e nelle cantine, nei libri e nelle dispense. Scrittrici di fama e blogger, poeti e ricercatrici, giornaliste e autori televisivi, dottorande, fotografi, professori, attivisti: ognuno ha modulato il suo canto di nostalgia e di omaggio rispondendo a una chiamata di gratitudine affettuosa. Come per ogni fuga che si rispetti, infine, c’è anche una coda, un’ultima voce sola con cui tutte le altre si sono intrecciate: la voce della nostra professoressa, trascritta dalla lezione con cui si è congedata dalla sua professione d’insegnante ma non, ci pare, dall’insegnamento in sé, un’arte umana che forse scenderà alla sua stessa fermata, come la poesia
Da mani mortali (Lo specchio)
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