Questa è la pagina dedicata a Chiara Lalli.
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Mai dati. Dati aperti (sulla 194). Perché sono nostri e perché ci servono per scegliere
Come sta la 194, la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza? Per saperlo avremmo bisogno dei dati, ma quelli della relazione di attuazione del Ministero della salute sono chiusi, aggregati per regione e vecchi. Cioè sono poco utili e poco a fuoco. È come ricevere un invito a cena senza avere l’indirizzo preciso. Dove andiamo? A chi chiediamo indicazioni? Immaginate di voler sapere se in un ospedale si eseguono le interruzioni volontarie della gravidanza, perché non in tutti gli ospedali si può abortire, quanti ginecologi ci sono e quanti di questi sono obiettori di coscienza. È possibile? Non proprio. Che fare? O avete un amico medico, meglio se in buoni rapporti con la direzione sanitaria di quell’ospedale, oppure potete provare a telefonare o a mandare una email, ma in questo caso potrebbe volerci molto tempo e non è nemmeno detto che riuscirete a ottenere questa informazione. Perché le Asl o i singoli ospedali non sempre rispondono, anche se dovrebbero, oppure elencano scuse burocratiche e amministrative e difficoltà nel recuperare i dati. Ecco perché Mai Dati, perché i numeri delle singole strutture non ci sono o si trovano solo con molta fatica. Abbiamo bisogno di una mappa dettagliata e aggiornata, disegnata a partire da dati aperti e ufficiali. Li abbiamo chiesti, ce li hanno mandati (non tutti). Abbiamo bisogno di questi dati sui quali non dobbiamo fare ipotesi magiche o essere costrette a verifiche complicatissime. Speriamo che tutti questi (mai) dati si possano trovare presto e facilmente sui siti istituzionali. Senza bisogno di una caccia al tesoro.
C’è chi dice no (La cultura. Saggi)
All you can eat. Atlante alimentare illustrato
“Lasciate che il cibo sia la vostra medicina e la vostra medicina sia il cibo.” Ippocrate, migliaia di anni fa, aveva profetizzato il momento in cui il cibo sarebbe diventato il rimedio di tutti i mali. Lo abbiamo interpretato male. Abbiamo esagerato. Il cibo è ormai una malattia, un’ossessione, una delle più onnipresenti preoccupazioni e uno degli argomenti più frequenti delle nostre conversazioni. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le abitudini alimentari, le allergie, le diete e, naturalmente, le patologie alimentari più o meno conclamate. Il fondamentalismo culinario ha sostituito quello religioso e politico, trasformando il menu in un’arma e in un vero e proprio credo. D’altra parte, siamo o non siamo quello che mangiamo? I valori d’una volta non esisteranno più, ma gli ossessionati alimentari godono di ottima salute. Chiara Lalli, filosofa, scrittrice e giornalista, ha deciso di mappare il nuovo atlante (alimentare) disegnando una tassonomia esaustiva e divertente delle diverse categorie alimentari. Il vegano, l’esperto di vini, il ladro di porzioni, il vegetariano con e senza uova, l’astemio, il paternalista, il dipendente dagli zuccheri, dalla cioccolata, dalla pubblicità, quello che pesa 130 kg ma non mangia niente, l’allergico, l’intollerante ai latticini o al glutine e molti altri. Il dolore per la morte di tutte le ideologie può essere finalmente consolato abbracciando la nuova ideologia alimentare.
Polvere. Il caso Marta Russo
Un’inchiesta tanto avvincente quanto angosciante
Il 9 maggio 1997 Marta Russo viene uccisa da un colpo di pistola in un vialetto della città universitaria di Roma. La scena del crimine è particolarmente complessa perché su quel vialetto si affacciano più di cento finestre e passano ogni giorno moltissime persone. L’arma del delitto non si trova, il movente è inspiegabile e l’attenzione mediatica è senza precedenti. Inizialmente i sospetti si concentrano su un bagno al piano terra accanto al magazzino della ditta di pulizie. I dipendenti lo chiamano «il deposito delle munizioni», hanno il porto d’armi e sparano al poligono. Il caso sembra chiuso, quando la scientifica scopre una particella di polvere da sparo sul davanzale dell’aula 6, al primo piano di un edificio arancione. Questo granello di polvere, insieme ad alcune testimonianze contraddittorie, porta alla condanna di due assistenti universitari, Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro, nonostante non conoscessero la vittima e non avessero un movente per ucciderla. La perizia della scientifica però è sbagliata: il granello di polvere non è con certezza un residuo di sparo, potrebbe essere quello dei freni di una vecchia Panda. Sono passati più di vent’anni e questo caso suscita ancora tante domande, come ha confermato il successo della serie audio da cui il libro è tratto. Chiara Lalli e Cecilia Sala hanno parlato con i protagonisti di questa storia, con i due condannati e con i loro accusatori. Hanno cercato negli archivi i documenti e le registrazioni dell’epoca, hanno analizzato i risultati della perizia con degli esperti. Hanno ricostruito le indagini e il processo, per vedere se tutto tornava. Il risultato è un’inchiesta tanto avvincente quanto angosciante. Ai dubbi specifici, molti dei quali rimangono senza risposta, si aggiunge la più spaventosa delle domande: se il caso Marta Russo fosse un errore giudiziario? Se un giorno fossimo noi a trovarci «schiacciati da una macchina inadeguata e incapace di correggersi»?A. La verità, vi prego, sull’aborto
Di aborto non si parla quasi mai. Quando succede si abbassa lo sguardo e il tono della voce. A meno che non ci si trovi di fronte a un dibattito politico e allora i toni sono infuocati e i termini apocalittici: strage degli innocenti, genocidio legalizzato, donne assassine. Anche chi è a favore della legalità dell’aborto e della possibilità di scelta della donna difficilmente è a proprio agio. Spesso ci si affretta a compilare un elenco di attenuanti per giustificare la scelta di abortire, per poi aggiungere: “Tutti sanno che è un trauma”. Ma lo è davvero? E lo è necessariamente? Chi sceglie di abortire subisce, nella maggioranza dei casi, un giudizio morale negativo. Abortire è sempre sbagliato. Il non soffrire, poi, è inconcepibile: sarebbe una forma di negazione e di rifiuto per un dolore troppo grande da essere intollerabile. È stata perfino inventata una nuova patologia per questa sofferenza: la sindrome post-abortiva (SPA) che colpirebbe tutte le donne che decidono di interrompere la gravidanza. “A” racconta come la vergogna, il silenzio, la paura intorno all’aborto vengano quotidianamente costruiti attraverso un potente sistema culturale e con la complicità della religione, del cinema e della tv. Se il dolore dell’aborto è esasperato, la depressione post-partum, il rifiuto nei confronti di un figlio o i vissuti conflittuali materni sono spesso taciuti, nascosti dietro a una retorica della maternità concentrata unicamente sul miracolo della riproduzione.
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