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Ragazzo della Bovisa
Tra la Milano buia dei rifugi del 1943 e quella luminosa dei balli nei cortili del 1945, Ermanno Olmi racconta la vita di un ragazzo lombardo che gli somiglia molto: il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, le inquietudini del periodo bellico, l’ardore e il tremore dei primi amori, il dolore per la morte del padre. Tra lirismo e ironia, Olmi ricostruisce un quadro d’epoca tra scorci d’ambiente e gustosi aneddoti, dando vita a una piccola commedia umana del Novecento milanese.
L’apocalisse è un lieto fine. Storie della mia vita e del nostro futuro
“Ho bisogno della bellezza, così come amo ogni anelito dell’uomo per compararsi a essa. Rinuncerei a qualsiasi merito artistico pur di riuscire a fare della mia vita un’opera d’arte.” È il principio che guida Ermanno Olmi in questa esplorazione di una vita, delle sue poche certezze e dei suoi molti incontri. Cresciuto nel pieno della disfatta fascista e testimone critico della rinascita nazionale, Olmi è stato giovanissimo fornaio, impiegato ragazzino, regista precoce. Ha vissuto direttamente l’abbandono delle campagne e l’esplosione della società dei consumi e per questo, divenuto protagonista della stagione d’oro del cinema italiano, ha scelto di rappresentare non i lustrini del Boom, ma la cecità di uno sviluppo che ha strappato il nostro Paese alle sue radici contadine. Proprio questa ferita è il cuore filosofico della sua illuminante autobiografia. L'”Apocalisse è un lieto fine” non è infatti solo il racconto di una vita densa e affascinante, degli incontri e dei successi che l’hanno segnata. È soprattutto la profonda, urgente riflessione con cui l’artista che ha saputo cogliere gli ultimi echi della civiltà rurale ci mette in guardia davanti al declino di un’altra epoca umana: la nostra. Abbiamo dimenticato cosa vuol dire “far bene” e coltivato a dismisura l’etica del male minore. Produttività, arricchimento e potere continueranno a rinchiuderci nelle loro gabbie fino a quando non saremo pronti a imparare l’eterna lezione della terra.
Il sergente nella neve. La sceneggiatura
Nel 1962 Ermanno Olmi rilascia un’intervista in cui dichiara: “Nel mio prossimo film, tratto dai ricordi di Russia di Mario Rigoni Stern, “Il sergente nella neve”, non ho nessuna intenzione di fare della critica storica. La verità totale della guerra (perché la guerra è verità, la guerra è morte, e nessuno fa il mistificatore di fronte alla morte) mi servirà per fare il bilancio dei valori umani che considero essenziali. Ogni soldato, ogni alpino, vedrà le cose che contano veramente nella vita e quelle che sono soltanto epidermiche, marginali”. Quando pronuncia quelle parole, il giovane regista sta lottando da tre anni per riuscire a realizzare il film che ha in mente da quando ha letto il libro di Rigoni Stern: ha terminato di scrivere insieme a lui la sceneggiatura, ha fatto dei sopralluoghi in Slovenia e in altre località in cerca di ambientazioni e di attori non professionisti, ha provato ad aggirare tutti gli ostacoli creati dalle case di produzione. Quel film non nascerà mai, per molte ragioni di cui dà conto Gian Piero Brunetta nel saggio che chiude questo volume, ma “a distanza di poco meno di cinquant’anni questo manoscritto si presenta ancora, così com’è, come esempio di sceneggiatura perfetta, capace di sfidare il tempo”. Una sceneggiatura che può essere letta come un libro a sé stante: che diventa ancora più preziosa se accostata al testo de “Il sergente nella neve”.
La mia lettera alla Chiesa. Il testamento spirituale di un maestro visionario
«Cara Chiesa di tutti i cristiani in buona fede, sono consapevole che non sei riducibile a un edificio, né alla magnificenza delle tue cattedrali. So che sei – che devi essere! – il cuore di tutti gli uomini» Attento ai temi della spiritualità nel corso di tutta la vita e la carriera, Ermanno Olmi ha scritto di getto questa lettera appassionata negli anni della vecchiaia. Una sorta di testamento spirituale, in cui riaffermare con forza che la religiosità è frutto del sentimento più ancora che della dottrina, perché «i sentimenti sono misteriosi, e hanno dentro più verità di qualsiasi ragionamento» Sono pagine forti, intense, che attingono alle emozioni più profonde, e il suo autore, fra i più grandi cineasti del nostro tempo, non si nasconde che forse potranno disturbare qualcuno nelle gerarchie e tra i devoti benpensanti, ma scritte nella sincera convinzione che l’Occidente e la nostra Italia – sempre più piccola e incapace di grandi slanci – abbiano profondamente bisogno di un «supplemento d’anima» Nel rivolgersi alla Chiesa, Olmi chiama in causa anche molte altre “chiese”, che con la loro supponenza si sono allontanate dalla realtà: le “chiese” dei potenti malati di narcisismo, delle lobbies, degli pseudo-intellettuali e di tutti coloro che vorrebbero condannarci a un perpetuo consumismo per sostenere sistemi ed economie che stanno distruggendo i doni di madre Terra. Il profetico regista dell’Italia contadina – che ha testimoniato una profonda vicinanza di approccio alla vita e al mondo con papa Francesco – chiude il suo sogno di un’umanità profondamente rinnovata con un’immagine filmica e potente: dalla facciata della basilica di San Pietro appare un uomo, che dice: «Sono tornato… come vi avevo promesso… non fate della casa del Padre una bottega. Distruggete questo tempio e, come allora, in tre giorni risorgerà dentro di voi»
Opinioni:
Questa lettera d’amore è l’ultimo lascito di un maestro visionario. – LaFeltrinelli
Ermanno Olmi
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