Questa è la pagina dedicata a Pasquale Chessa.
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L’ultima lettera di Benito. Mussolini e Petacci: amore e politica a Salò 1943-45
Tanto per cominciare si chiama Clara, non Claretta. Così vuole essere chiamata lei. Così la chiama Mussolini nelle 318 lettere che le scrive tra il 10 ottobre 1943 e il 18 aprile 1945, durante i seicento giorni della repubblica di Salò. Dal fondo Petacci, conservato da sessantanni nei faldoni dell’Archivio centrale dello Stato, emerge una corrispondenza personale destinata a cambiare l’immagine storica di Clara Petacci e, insieme, a riscrivere la vulgata sulla “repubblica di Mussolini”. Perché Clara, fascista totale e antisemita, nelle lettere si rivela non solo confidente sentimentale, ma anche consigliere politico, interprete privilegiata del pensiero del Duce in quanto sua prima amante in carica. Le lettere rivelano due certezze: per Clara, Mussolini è un mito quotidianamente rinnovato in un flusso inarrestabile di parole; per Mussolini, Clara è l’ultima risorsa esistenziale mentre sente crollare il mondo intorno a sé. Fu vero amore. Anche. A Salò il sesso viene usato come un’arma per continuare la politica con altri mezzi. Massima, infatti, è la vigilanza di Clara per le amanti occasionali e saltuarie del Duce. Amore e politica, militanza e passione, sesso e ideologia: la relazione tra Clara e Benito a Salò non è stata una semplice storia d’amore perché la politica ne è stata il motore sino alla fine, quando la scena madre di piazzale Loreto – imprimendole il sigillo della storia – l’ha trasformata in un legame simbolico e indissolubile.
Dux. Benito Mussolini: una biografia per immagini
Il fascismo fu vera dittatura, ma anche, se non una farsa, certamente un grande spettacolo. E Mussolini ne fu il regista unico: regista di se stesso e del suo pubblico. Molto più del cinema, dell’arte figurativa o dell’architettura, la fotografia, al pari della parola, è stata il principale veicolo del consumo totalitario. Con essa l’immagine del duce diventa personale, portatile, trasferibile, riproducibile e collezionabile. Questo primato della fotografia, però, non è stato finora rappresentato in maniera adeguata negli studi sul fenomeno fascista, cosicché sappiamo tutto del cinema, della radio, dell’architettura, ma è ancora difficile trovare il bandolo dell’immagine che il Ventennio ha lasciato impressa su migliaia di vetrini, fatta stampare su milioni di cartoline, pubblicata sui giornali e diffusa all’estero, regalata alle madri dei caduti come ai bambini. Piano piano, al principio in maniera spontanea e naturale, l’immagine del duce si è radicata nel paesaggio urbano e nelle campagne, funzionando come un messaggio pubblicitario, prima di diventare propaganda prodotta in serie dalla macchina del consenso. Anche quando l’esito disastroso della seconda guerra mondiale minò il carisma di Mussolini, la fotografia sembrò rimanere l’unico suo contatto diretto con l’esperienza della realtà. Fino all’adunata di piazzale Loreto, quando egli partecipò per l’ultima volta da protagonista, sotto gli obiettivi dei fotografi accorsi in gran numero.
Il romanzo di Benito. La vera storia dei falsi Mussolini
«Tutto è successo a notte fonda, alla fine di una giornata d’autunno, nel 2002. Le agende erano tutte lì, impilate sulla scrivania di un notaio di Bellinzona. La cassaforte da cui erano state prelevate era ancora aperta.» Renzo De Felice, storico del fascismo, aveva avvertito Pasquale Chessa: di tanto in tanto, dall’ombra riemerge qualche perduto diario del Duce, e allora bisogna cercare l’errore. Perché l’errore del falsario c’è sempre. In questo caso l’errore era più di uno: quelle agende non solo tracciavano l’improbabile ritratto di un Mussolini pacifista e antitedesco, persino contrario alle leggi razziali, ma erano anche piene di goffe incongruenze. Nonostante questo, pochi anni dopo, sarebbero giunte rocambolescamente alla pubblicazione. La vicenda di quei diari è in realtà solo l’ultima della miriade di fake news e leggende mussoliniane che ha attraversato carsicamente l’Italia del dopoguerra: le molte morti del Duce, i suoi mille possibili assassini, ognuno con almeno due o tre vere identità, e gli innumerevoli segreti e complotti, dal malfamato oro di Dongo al famigerato carteggio con Churchill. Chessa le racconta una a una, ne intreccia genesi e filiazioni, rivela onnessioni e scoop storici, distribuendo meriti e colpe tra una degna schiera di comprimari e comparse: gerarchi redivivi e partigiani fedifraghi, spie fasciste, sedicenti nobili e veri baronetti inglesi, signore di provincia dalla grafia dannunziana, giornalisti d’assalto, storici incauti, mafiosi e “dongologi” di ogni risma.
Opinioni:
Il romanzo di Benito mette ordine in una trama intricata dove resoconti fantasiosi intessuti di piccole verità si sovrappongono a racconti verosimili che ingarbugliano il quadro, tra giornali e rotocalchi, pamphlet più o meno clandestini e pseudo-testamenti morali. – LaFeltrinelli
La notte è ancora nera, anche se l’alba non è lontana. A Bellinzona ha appena smesso di piovere. Attraversiamo la piazza. Ancora bagnato, il selciato di porfido grigio luccica e risuona nel silenzio, come nel Terzo uomo sotto i passi di Orson Welles – Anonimo
L’ultimo comunista: La presa del potere di Giorgio Napolitano
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