Questa è la pagina dedicata a Riccardo Bacchelli.
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Il mulino del Po
Autunno 1812. Durante la disastrosa ritirata dalla Russia dell’Armata napoleonica, il soldato ferrarese Lazzaro Scacerni salva dall’annegamento nelle gelide acque del Vop un ufficiale, che lo ricompensa svelandogli come entrare in possesso di un suo tesoro. Con quella somma, una volta tornato in patria, Lazzaro decide di iniziare l’attività di mugnaio. Autunno 1918. Un’altra battaglia, un altro corso d’acqua – il Piave -, un altro Lazzaro. Sono passate quattro generazioni, l’Italia è mutata, sulle rive del Po gli Scacerni hanno vissuto gioie, speranze, dolori: alterne vicende, come alterno è lo scorrere del fiume. In modo diretto o indiretto hanno partecipato intensamente alla vita politica e sociale del nostro Paese, dalla Restaurazione al Risorgimento, dalle prime organizzazioni di lavoratori alla Grande Guerra. Epopea di umili personaggi e di un territorio che si fanno specchio della totalità del mondo e della Storia, “Il mulino del Po” ha il respiro ampio dell’epica e l’andamento narrativo mutevole della corrente. L’autore domina la varietà multiforme dei caratteri e la concatenazione dei fatti, in tutti i loro risvolti personali e collettivi, aderendo ai valori e ai sentimenti di una civiltà antica quanto vitale. Antiretorico, denso di altissima poesia, il capolavoro di Bacchelli mostra al lettore che, se il bandolo dell’aggrovigliato gomitolo della Storia lo tiene Dio, gli uomini e le donne vi sono dentro non come rassegnate comparse, ma come attori consapevoli, che rispondono con il lavoro e la fatica ai disastri della natura e della politica.
Il diavolo al Pontelungo
Nelle pagine ironiche e avventurose del “Diavolo al Pontelungo”, Riccardo Bacchelli rievoca volti e personaggi (il gigante Bakunin, il pallido Cafiero, lo spavaldo Andrea Costa) e racconta sogni e utopie che guidarono il fallito tentativo di una donchisciottesca insurrezione anarchico-socialista che si sarebbe dovuta tenere a Bologna l’8 agosto del 1874. Restituisce così ai lettori, tra la Baronata di Locarno e la città dello Studio, una vicenda dimenticata, una rivoluzione mancata ma feconda di frutti. Questa nuova edizione affianca al romanzo una serie di testimonianze e di documenti storici, oltre a collocarlo nel tempo in cui fu scritto e nella biografia dell’autore. L’intreccio fra diverse prospettive critiche fornisce una lettura rinnovata di uno dei più straordinari romanzi del Novecento italiano.
Gioacchino Rossini
Figlio di una discreta cantante e di un mediocre suonatore di corno, l’infanzia di Gioacchino Rossini fu segnata da un talento precocissimo. A quattordici anni compose la sua prima opera, “Demetrio e Polibio”, e a trentasette – dopo il “Guglielmo Tell” – smise di comporre per il teatro lirico, ritirandosi a vita privata. Pigro, umorale, ipocondriaco, collerico ma anche gioviale, facile ad attacchi di ridarella, innamorato del buon cibo e delle belle donne, a quarant’anni era già vecchio e acciaccato: «Patisco assai, mi creda, patisco assai» diceva al suo medico, e a chi gli chiedeva di scrivere nuove opere rispondeva: «La musica vuol freschezza d’idee: io non ho che languore e idrofobia» Questa biografia, apparsa nel 1941 e ancora oggi tra le più esaustive sul genio rossiniano, ne ripercorre la vita e le opere.
Il figlio di Stalin (Minimum classics)
Candido: ovvero l’ottimismo (Oscar classici Vol. 122)
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