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Gli altarini della sinistra. Giustizia, immigrazione, corruzione: come la realtà svela le menzogne
La sinistra ritiene di non avere altarini, o almeno così i suoi “sacerdoti” raccontano di se stessi. Tende ad avere una narrazione tutta sua e apparentemente inscalfibile del suo modo di essere. Il giustificazionismo etico, la pulsione autoassolutoria e la supponenza sono diventati uno stile, una maniera di replicare alle accuse, sempre e comunque. Senza mettersi mai in discussione, vuole insegnare agli altri come stare al mondo. Nicola Porro, con uno stile irriverente e corrosivo, ripercorre, attraverso alcuni esempi tratti dalla cronaca quotidiana, tutte le ipocrisie di una parte politica che ha fatto della superiorità morale un marchio di fabbrica. Passando in rassegna le beghe nascoste, gli episodi più assurdi e paradossali di malagiustizia, dal caso Tortora fino al protagonismo “manettaro” di Davigo, i casi di corruzione che hanno trovato poco spazio sui media progressisti, dal Qatargate fino alla vicenda Soumahoro, e il “doppio pesismo” su tutto, soprattutto sui temi legati all’immigrazione, “Gli altarini della sinistra” è un saggio che dimostra come il mondo della sinistra abbia in realtà moltissimi scheletri nell’armadio. Scheletri con cui dovrà fare i conti, prima o poi.
Sinistra! Un manifesto
La crisi in cui si dibatte la sinistra – non solo italiana – rivela un drammatico vuoto di pensiero e di idee. Per prima cosa, bisogna ricostruire il quadro culturale di una nuova identità. La straordinaria trasformazione delle società occidentali in seguito alla rivoluzione tecnologica e alla fine di quella che si può definire l’età del lavoro e della grande industria ha mutato radicalmente la scena economica e sociale in cui ci muoviamo. La tesi del libro è che questo cambiamento ha reciso per sempre le radici di classe della sinistra, che si è trovata quasi all’improvviso senza basi su cui poggiare la propria esistenza. Ma c’è tutto lo spazio per costruire una sinistra che sappia vivere – come non ha mai fatto – al di fuori dello scontro di classe. Il libro individua così due grandi campi intorno ai quali ricostruire un pensiero e una strategia progressista: una nuova idea di eguaglianza – svincolata dalla catastrofe del socialismo – e l’impegno per un mondo globale orientato non solo sui mercati e sulla loro cultura, ma su un modello inclusivo di cittadinanza oltre la cornice degli Stati.
Contro la sinistra neoliberale
Sahra Wagenknecht è stata la leader del gruppo parlamentare del principale partito della sinistra radicale tedesca, Die Linke, dal 2015 al 2019, ottenendo più del 9% dei voti alle elezioni del 2017. Si è dimessa due anni dopo, ufficialmente per ragioni di stress. Ma sono in molti a sospettare che la sua decisione sia stata motivata dal progressivo scivolamento del suo partito verso quella forma di “neoliberismo progressista” che ormai sembra aver contagiato tutte le sinistre occidentali e che, secondo Wagenknecht, rischia di rappresentare la pietra tombale per la sinistra (per la cronaca, nelle elezioni del 2021, il partito, ora nelle mani della corrente liberal-progressista, ha dimezzato i suoi voti: il peggior risultato di sempre). Proprio a questa deriva della sinistra è dedicato il nuovo libro-manifesto di Wagenknecht. La sinistra contemporanea occidentale – denuncia l’autrice – ha ormai buttato nella pattumiera della Storia nozioni quali la lotta di classe e la lotta alle disuguaglianze per diventare una “sinistra alla moda”: uno stile di vita appannaggio di una ristretta élite – rappresentata dal nuovo ceto medio dei laureati delle grandi città – e ispirato ai dogmi del cosmopolitismo, del globalismo, dell’europeismo, del multiculturalismo, dell’ambientalismo, dell’identitarismo e del politicamente corretto. Una élite che non ha nulla da dire sull’impoverimento della classe media e sullo sfruttamento dei lavoratori, che non solo promuove gli interessi dei vincitori della globalizzazione, ma disprezza apertamente i vinti, ossia le classi popolari e i loro valori, accusati di essere fascisti, razzisti, retrogradi, sessisti, nazionalisti, populisti. Una élite sempre più ristretta in termini elettorali, ma che nondimeno esercita una fortissima egemonia sui media e sul mondo della cultura. In opposizione a questa sinistra per pochi privilegiati, Sahra Wagenknecht delinea una visione radicalmente alternativa, per una sinistra che sia in grado di tornare a rappresentare e a parlare alle classi popolari: un controprogramma fondato su valori non individualistici ma comunitari – tra cui concetti aborriti dai progressisti contemporanei come patria, comunità, appartenenza -, capaci di definire l’identità, non più di una minoranza intellettualista, ma di una maggioranza fatta di individui concreti. E gettare così le basi per la creazione di una società più giusta.
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