Questa è la pagina dedicata a libri per studiare regia.
In questa pagina troverai 5 prodotti, tra cui “Per Kubrick. Dodici sguardi critici: 42”.
La geografia per tutti. Ediz. rossa. Per la Scuola media. Con e-book. L’ Europa in generale. Gli Stati europei (Vol. 2)
La qualità del perdono. Riflessioni sul teatro a partire da Shakespeare
Le regie di Peter Brook hanno trasformato, nel corso degli ultimi decenni, il modo di concepire Shakespeare e il suo teatro. Le illuminazioni del grande maestro inglese hanno, rischiarato e reso palpitanti moltissime delle pagine scritte dal più grande drammaturgo di tutti i tempi. Da “Re Giovanni” del 1945 fino al suo ultimo “Amleto” in francese, Brook non ha, mai smesso di scandagliare le profondità del genio di Stratford. Le sue esperienze di lavoro e dj passione, maturate in oltre un cinquantennio, si ritrovano distillate nelle riflessioni proposte in questo volume, piccolo solo nel formato, curato e tradotto in italiano da Pino Tierno. Un dramma di Shakespeare può racchiudere le esperienze di una vita intera. Il doloroso quanto necessario conflitto fra opposti è alla base dell’opera del Bardo. Ordine e Caos, Dentro e Fuori, Luce e Oscurità: sono solo alcune delle dicotomie ricorrenti nelle opere di Shakespeare. Non c’è impulso o sentimento umano che nelle sue opere non sia stato riflesso e analizzato. Fino ad arrivare a “La tempesta”, dove la qualità del perdono sembra trascendere e vivificare ogni nostra possibilità di comprensione.
La macchia mongolica
È il 1996, Massimo Zamboni parte per la Mongolia in un viaggio al seguito di una troupe televisiva locale. È lì assieme alla moglie e ai componenti dei CSI. La Mongolia che si trova davanti corrisponde e supera l’immaginario costruito in anni di fantasticazioni, letture, ricerche: quella terra mitica – resa immortale dalle gesta di Gengis Khan, attraversata da Marco Polo, conquistata dalla Russia sovietica – stordisce e risuona in Zamboni come una radice scoperta, un’appartenenza ancestrale pari solo a quella dei boschi emiliani. Da quel viaggio in Mongolia non solo prenderà vita “Tabula rasa elettrificata”, uno dei dischi simbolo dei CSI, ma si manifesterà per la prima volta in Massimo e sua moglie il desiderio di avere un figlio. Caterina nascerà due anni dopo, con una macchia inequivocabile: una sorta di voglia, un piccolo livido destinato a scomparire nel tempo, la cosiddetta “macchia mongolica”. Questo segno detterà per sempre anche in lei la partecipazione a due mondi spirituali e fisici, l’Emilia dei padri e la Mongolia del desiderio. Al compimento dei diciotto anni è qui che Caterina vuole andare in ciò che sembra quasi un ritorno a casa. Nei paesaggi immutati e nella storia che veloce fagocita il tempo e i costumi, dentro a un mondo che ha annientato le distanze ma non le differenze, questo nuovo viaggio – prima tutti insieme, e poi Caterina da sola – è scoperta ulteriore, immersione spirituale, indagine sull’altrove che ci abita, un’esplorazione necessaria tra le stanze della memoria più intima. “La macchia mongolica” è anche un film-documentario diretto da Piergiorgio Casotti e una colonna sonora composta da Massimo Zamboni e pubblicata da Universal Music su CD/LP.
Per Kubrick. Dodici sguardi critici: 42
Nel 2006 Dino Audino pubblicava un volume che a suo modo è diventato un piccolo cult: Overlooking Kubrick. Raccoglieva i risultati di una serie di convegni dedicati al Maestro (scomparso nel 1999) da diverse Università italiane. Molta acqua è passata sotto i ponti, molti libri e saggi sono stati scritti, tante riflessioni e analisi sono state fatte. Ma vale la pena rileggere alcuni “storici” interventi (tra questi saggi di studiosi italiani e stranieri tra i più illustri, da Sorlin a Bruno, da Bertetto a De Gaetano, da Sesti a Bernardi), mettendoli a confronto con analisi di studiosi delle generazioni più giovani (come Carocci e Ugenti). Sono altri “sguardi” su un regista che permette di riflettere sui rapporti del cinema con la storia, con la letteratura, coi generi, con l’ideologia, con le emozioni. È un’occasione per continuare a indagare su uno dei più grandi autori della storia del cinema, e anche un viatico per ulteriori studi.
Dirigere la macchina da presa. Come girare dialoghi e azione per «dare energia» al film e creare empatia
“Il libro di Bettman è un manuale per capire come si deve muovere la macchina nel cinema contemporaneo, un libro che si arricchisce di esemplificazioni di rara chiarezza sul cinema che ci è temporalmente più vicino. […] Nello sviluppare il suo tema, Bettman alterna la praticità del suo lavoro di produttore e regista tra cinema e televisione […] alla vocazione didattica che è invece parte della sua vita accademica […]. Man mano che si legge il libro ci si rende così conto che esso assolve perfettamente due funzioni di notevole rilevanza […]. A chi legge Bettman per imparare a manovrare la camera, il libro spiega il senso profondo di quell’azione: prima di tutto, evidentemente, il senso narrativo, cui il movimento è bene che si tenga stretto per non cadere nel rischio dell’autoreferenzialità […]. In secondo luogo però si riesce a cogliere anche il senso teorico di quell’azione. A chi invece legge questo libro da posizioni più storico-teoriche che applicative […] capita di ricordare che l’analisi del film non può prescindere da una conoscenza profonda delle ragioni del suo farsi e del suo “formarsi” e che è sempre bene conoscere nei minimi particolari le premesse tecniche di ciò che vediamo. […] Dirigere la macchina da presa può dunque costituire una occasione per ribadire l’importanza di una consonanza tra pratica e teoria – soprattutto nel nostro tempo, in cui il miglioramento tecnologico ha reso più vicine le pratiche di ripresa e montaggio – e soprattutto per interfacciarsi serenamente con quella che Bettman chiama “la tigre da 100 milioni di dollari”, e cioè il cinema “grande”, quello che ogni giovane che mette mano a una videocamera sogna prima o poi di vedere da vicino […].” (Dalla Prefazione di Michele Guerra)
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