Questa è la pagina dedicata a Anna Maria Ortese.
In questa pagina troverai 5 prodotti, tra cui “Il mare non bagna Napoli”.
Il monaciello di Napoli. Il fantasma
Monaciello, scugnizzo malinconico e dispettoso è il protagonista del primo racconto di questo volume, mentre il Fantasma servizievole e triste, che non è altro che la morte, ci accompagna nel secondo racconto. Sono “povere creature inimmaginabili”: l’ombroso spiritello del primo racconto vive “in un piccolo armadio dalla serratura guasta, dalle porte malferme, fra cataste di panni scuri e penne verdi di pappagallo”, mentre del secondo enigmatico fantasma “abbagliante era il suo sorriso in fondo agli occhi di tenebra”. Attraverso la voce accorata e dolente della Ortese, si avverte l’eco di nostalgie mai sopite, di dolcezze negate e di figure angeliche e lunari, scontrose e carezzevoli.
Il mare non bagna Napoli
“Il mare non bagna Napoli” è – sottolinea Pietro Citati nella prefazione – una straordinaria discesa agli Inferi: nel regno della tenebra e delle ombre, dove appaiono le pallidissime figure dei morti. Di rado un artista moderno ha saputo rendere in modo così intenso la spettralità di tutte le cose, delle colline, del mare, delle case, dei semplici oggetti della vita quotidiana. Anna Maria Ortese attraversa l’Ade posando sulle cose e le figure degli sguardi allucinati e dolcissimi: tremendi a forza di essere dolci; che colgono e uccidono per sempre il brulichio della vita. Nei racconti compresi nella prima parte del libro, questi sguardi penetrano nel cuore dei personaggi: ne rendono la musica e il tempo interiore, come molti anni prima aveva fatto Cechov”.
Corpo celeste
Questa opera segreta, che la narrazione al tempo stesso occulta e svela, si dichiara apertamente in alcuni scritti insieme di meditazione e di memoria, solo in parte editi e qui per la prima volta raccolti in volume. Queste prose convergono verso il punto da cui per la Ortese tutti gli altri dipendono: “Restituire al reale, nostro paese compreso, il significato di appartenenza a un’altra realtà, più vasta e inconoscibile, con la quale sembrerebbe necessario, per rinnovarsi, confrontarsi ogni tanto”.
In sonno e in veglia
Per Anna Maria Ortese, qualsiasi cosa tocchi con la parola, la materia si trasforma in quella «materia indivisibile di cui parla la fisica nei suoi momenti di sogno» Come ogni vero scrittore fantastico la Ortese, probabilmente, non vorrebbe essere tale. Vorrebbe soltanto nominare la realtà che conosce. Ma la sua realtà è subito allagata da una piena di immagini, che la rendono multipla, variegata, senza fondo. «Tutto era infinitamente più grande, più mutevole, più bizzarro di quanto io potessi capire»: questa sembra essere stata, sembra essere ancora, per lei, la sensazione primaria. In questo nuovo libro di racconti, il primo dopo lunghi anni di silenzio, ci troviamo da un capo all’altro immersi in questa realtà seconda, spesso angosciosa, o minacciosa, ma anche talvolta attraversata da un trillo di incantevole comicità o da un’aerea ebbrezza. Oltre a quello narrativo, vi è poi un altro versante nella sua opera, che si mostra nelle ultime due, mirabili prose di questo libro. Come definirle? Meditazioni? Comunque, proprio in questa zona, nella conversazione immaginaria intitolata Piccolo drago, incontriamo una autoconfessione che accende la lingua italiana di un pathos visionario quale raramente ha avuto l’occasione di ospitare. Qui stillano come gocce infuocate le parole di qualcuno che può dire di sé: «l’inferno di questo secolo non mi fu ignoto né estraneo» E qui la voce della Ortese, che altrimenti sussurra «in sonno e in veglia», improvvisamente vibra di offesa eloquenza per difendere l’esistenza animale, che è anche la nostra esistenza animale, di quella parte di noi che appartiene ai «popoli muti di questa terra, i popoli detti Senza Anima – dal Dittatore fornito di anima – e per di più mortale! – che è il loro carnefice da sempre»
Angelici dolori e altri racconti
Scritti fra il 1934 e il 1936 e subito raccolti in volume, i racconti di Angelici dolori irrompono nel panorama letterario dell’epoca con tutta la forza della loro conturbante eccentricità: “Io vedevo allora tutto il mondo come una stranezza e una meraviglia quasi non sopportabili, ove non si desse loro una espressione, una voce ordinata” spiegherà anni dopo la Ortese. E non è difficile immaginare con quale stupore i lettori accogliessero, da parte di una scrittrice poco più che ventenne e sconosciuta, le fiammate di ribellione contro la “terribile e invadente Civiltà” nemica dei sogni e della libertà; e la metamorfosi di Napoli in città “estatica”, dove miracolosamente è dato vedere il quartiere pezzente del Pilar “scintillare di cupole colorate sul cielo d’oro, e i campanili con le bocche aperte, e i balconi delle case-streghe fioriti d’erba e fanciulle”; e la violenza inaudita di una passione che è gioia spaventosa, dolce morte, adorazione mistica, e che per la radicale sproporzione fra il valore totale dell’essere amato e quello irrisorio dell’amante sembra attingere alla lirica provenzale; e, più in generale, il clima di fantasmagorica réverie che ammanta scenari e personaggi, umani e angelici, traducendo in irrequietezza visionaria la più segreta ambizione della giovane Ortese: afferrare un’immagine e riprodurla “viva, grande, colorata, con tutti i caratteri precisi della realtà e tutti i deliziosi ondeggiamenti dell’irreale”.
Se volessi saperne di più, dai un’occhiata al nostro canale Youtube!
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.