Questa è la pagina dedicata a David Graeber.
In questa pagina troverai 5 prodotti, tra cui “Le origini della rovina attuale”.
Bullshit Jobs: The Rise of Pointless Work, and What We Can Do About It
‘Spectacular and terrifyingly true’ Owen Jones ‘Explosive’ John McDonnell, New Statesman, Books of the Year ‘Thought-provoking and funny’ The Times FT BUSINESS BOOK OF THE YEAR 2018, THE TIMES BOOK OF THE YEAR 2018, NEW STATESMAN BOOK OF THE YEAR 2018 and CITY AM BOOK OF THE YEAR 2018 Be honest: if your job didn’t exist, would anybody miss it? Have you ever wondered why not? Up to 40% of us secretly believe our jobs probably aren’t necessary. In other words: they are bullshit jobs. This book shows why, and what we can do about it. In the early twentieth century, people prophesied that technology would see us all working fifteen-hour weeks and driving flying cars. Instead, something curious happened. Not only have the flying cars not materialised, but average working hours have increased rather than decreased. And now, across the developed world, three-quarters of all jobs are in services, finance or admin: jobs that don’t seem to contribute anything to society. In Bullshit Jobs, David Graeber explores how this phenomenon – one more associated with the Soviet Union, but which capitalism was supposed to eliminate – has happened. In doing so, he looks at how, rather than producing anything, work has become an end in itself; the way such work maintains the current broken system of finance capital; and, finally, how we can get out of it. This book is for anyone whose heart has sunk at the sight of a whiteboard, who believes ‘workshops’ should only be for making things, or who just suspects that there might be a better way to run our world.
L’alba di tutto. Una nuova storia dell’umanità
Da dove nascono la guerra, l’avidità, lo sfruttamento, l’insensibilità alle sofferenze altrui? E qual è l’origine della disuguaglianza, ormai riconosciuta come uno dei problemi più drammatici e radicati del nostro tempo? Da secoli, le risposte a queste domande si limitano a rielaborare le visioni contrapposte dei due padri della filosofia politica: Jean-Jacques Rousseau e Thomas Hobbes. Stando al primo, per la maggior parte della loro esistenza gli esseri umani hanno vissuto in minuscoli gruppi ugualitari di cacciatori-raccoglitori. A un certo punto, però, a incrinare quel quadro idilliaco è arrivata l’agricoltura, che ha portato alla nascita della proprietà privata. Poi sono apparse le città, e con esse si è affermata l’organizzazione fortemente gerarchica di quella che chiamiamo «civiltà» Per Hobbes, al contrario, la necessità di imporre un rigido ordine sociale si è imposta per contenere la natura individualista e violenta dell’essere umano, altrimenti sarebbe stato impossibile progredire organizzandosi in grandi gruppi. Quasi tutti conoscono queste due storie alternative, almeno nelle loro linee generali: riassumono le idee più diffuse sulla storia dell’umanità e la sua evoluzione, e hanno contribuito a definire la nostra visione del mondo. Ma pongono anche un problema: entrambe dipingono la disuguaglianza come una tragica necessità; un elemento che non potremo mai cancellare del tutto, in quanto intrinsecamente legato al vivere comune. Una visione che non convince affatto gli autori di questo libro, decisi a gettare nuova luce sul passato della nostra specie. In una sintesi tanto meticolosa quanto di largo respiro, che coniuga i risultati delle ricerche storiche e archeologiche più recenti al contributo di pensatori provenienti da culture diverse da quella occidentale, il sociologo David Graeber e l’archeologo David Wengrow ci raccontano una storia diversa – più articolata e ricca di chiaroscuri – dell’evoluzione sociale dell’Homo sapiens. Una storia illuminante e attendibile, dalla quale ripartire per provare a immaginare un futuro diverso.
Le origini della rovina attuale
I quattro saggi da cui è composto questo volume corrispondono alle ricerche che David Graeber intraprese negli anni Ottanta del secolo scorso all’università̀ di Chicago. Raccolti in volume con altri nel 2007, sono uno studio antropologico delle origini del capitalismo. Visto il carattere totalizzante di quest’ultimo, esaminarle dà modo di riflettere sulle infinite possibilità̀ alternative, sempre presenti, di intendere e di vivere le relazioni sociali, i desideri, il mondo. Buone maniere, individualismo, gerarchia, proprietà̀, una critica (alla critica) del consumo, il ribaltamento dei modi di produzione, la creatività̀ sociale e il feticismo, sono solo alcuni dei temi affrontati in questa raccolta. Graeber, anarchico e tra i più brillanti antropologi della sua generazione, ha partecipato al movimento altermondialista ed è stato tra i principali agitatori di Occupy Wall Street.
Opinioni:
Quattro saggi inediti e seminali. Antropologo anarchico, critico radicale della disuguaglianza economica e sociale, David Graeber ha scritto per tutta la vita sugli effetti negativi della globalizzazione e come abbia favorito la disciplina del lavoro e il controllo sociale. – LaFeltrinelli
Uno dei più importanti pensatori d’antropologia dei nostri tempi – Journal of the Royal Anthropological Institute
Frammenti di antropologia anarchica
Che cosa dovrebbe rendere compatibili, anzi affini, una filosofia politica come l’anarchismo e una disciplina scientifica come l’antropologia (culturale, beninteso)? Per Graeber, anarchico e antropologo, sussistono feconde potenzialità di arricchimento reciproco perché entrambe si muovono da molto tempo sulla stessa traiettoria, non solo perché riconoscono la varietà dei modi di pensare propri degli esseri umani, ma anche perché pongono al centro della loro riflessione la questione cruciale del potere. In un mosaico di appunti e spunti deliberatamente incompiuti, l’autore sviluppa la sua tesi partendo dalle enclaves libertarie ed egualitarie presenti in diversi momenti della socialità umana – di cui già parlano antropologi come Marcel Mauss o Pierre Clastres – per arrivare alle forme di contropotere esistenti nel mondo occidentale, e non solo. Viene così abbozzata una ridefinizione dello Stato e delle organizzazioni politiche che apre a considerazioni fortemente innovative sui concetti di dominio, gerarchia, autorità.
Critica della democrazia occidentale. Nuovi movimenti, crisi dello stato, democrazia diretta
Benché la civiltà occidentale ne rivendichi l’invenzione, Graeber ci mostra come forme democratiche basate sull’autoorganizzazione siano emerse, nel tempo e nello spazio, in una pluralità di società «altre», diverse tra loro ma tutte estranee alla concezione statuale propria dell’Occidente. E sta qui la contraddizione insita nell’ideale democratico occidentale, che si regge sul sogno impossibile di coniugare le pratiche democratiche con i meccanismi coercitivi dello Stato. Una contraddizione che impedisce la creazione di democrazie nel senso pieno del termine, consentendo piuttosto la nascita di «repubbliche» dotate di pochi elementi democratici. Il che spiega come mai in Occidente ci siano sempre state sperimentazioni sociali volte a riaccendere le istanze più autentiche della pratica democratica. E se in passato i modelli di democrazia scaturiti dalle rivoluzioni americana e francese si sono ispirati, più che all’Atene classica, alle navi pirata, ai nativi americani o alle comunità di frontiera popolate da liberti, prostitute e rinnegati, oggi sono i movimenti di critica radicale dell’esistente, fondati su pratiche orizzontali e modalità di condivisione, a mettere in discussione le basi della nostra democrazia incompiuta. E il futuro della democrazia sta proprio lì. Prefazione di Stefano Boni.
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