Questa è la pagina dedicata a George Simenon.
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Maigret
Non si può dire che sia contento, l’ex commissario di divisione Jules Maigret, di essere svegliato in piena notte, nella casa di campagna dove si è ritirato da quando è in pensione, dal nipote di sua moglie, giovane poliziotto imbranato che un testimone accusa di omicidio. Né è contento di dover abbandonare le sue canne da pesca e i suoi lucci per ritrovarsi, in un’alba gelata, a correre verso Parigi dentro un taxi per cercare di tirare fuori dai pasticci quell’imbecille di Philippe. Ed è ancor meno contento quando si rende conto di essere tagliato fuori dal mondo che per tanti anni è stato il suo, e di sentirsi “vecchio e privo di energie, di risorse e di idee”.
La camera azzurra
«… forse uno dei migliori Simenon che si siano letti. Ed è quasi insopportabile per quanto è bello. Provincia francese, un amore extraconiugale per molti versi inspiegabile e famelico, pochi personaggi, rari esterni. Questi gli ingredienti. Ma nel volgere di poche pagine, lo scrittore ci fa precipitare dentro un universo di indescrivibile, ordinaria infelicità piccolo borghese … Di recente, in Inghilterra e Stati Uniti qualche sciocco si è scandalizzato che Simenon sia entrato a far parte della Pléiade. Lo inviterei a leggere subito “La camera azzurra”.» (Mario Fortunato)
Opinioni:
Nel suo stile asciutto, rapido, implacabile, Simenon ci racconta la storia di una passione vorace e devastante, che non arretra davanti a nulla. Nemmeno davanti a un doppio delitto. – LaFeltrinelli
La vedova Couderc
«La parte centrale del romanzo è sorretta dalla tensione fortissima che scaturisce dal complesso rapporto tra i personaggi e che, per fare un paragone, ricorda quella, quasi insostenibile, del romanzo Misery di Stephen King (lo scrittore prigioniero della sua ammiratrice pazza). Una situazione senza vie d’uscita» (Corrado Augias)
L’uomo che guardava passare i treni
Come un uomo qualsiasi, «che guardava passare i treni» e sognava la vita che vi si nascondeva, possa improvvisamente abbandonare tutto in una fuga dove si mescolano il delitto, il terrore, l’ebbrezza e la lucidità.
Maigret e l’uomo solitario
L’afa di agosto può essere insopportabile, soprattutto se associata a una vischiosa routine. Non stupisce allora che Maigret affronti quasi con sollievo il caso del “morto senza nome” – cioè il clochard che qualcuno ha freddato con tre colpi di pistola al petto in un edificio abbandonato nei pressi delle Halles, fra cumuli di oggetti inutili e inverosimili raccattati nei cassonetti. Il problema, appunto, è che l’uomo non ha documenti addosso, e che per di più non sembra un vero barbone: i lunghi capelli argentei, così come i baffi e la barbetta alla Richelieu, rivelano le cure sapienti di un barbiere, e le mani sono impeccabili. Lo si direbbe piuttosto un vecchio, nobile attore che reciti la parte di un barbone. Non solo: il Marchese – così veniva chiamato nel quartiere – non si degnava di rivolgere la parola a nessuno, e neppure beveva. Davvero strano. Il commissario detesta non capire, e questa volta veramente non capisce. Il che lo rende nervoso e intrattabile. Ma l’irritazione si trasformerà in ansia non appena scoprirà che il Marchese, vent’anni prima, era un restauratore di mobili antichi con bottega in rue Lepic, e che aveva una moglie e una figlia. Che cosa può spingere un bell’uomo in gamba, stimato e amato, a sparire nel nulla due giorni prima di Natale senza lasciare neppure un biglietto di addio? Che cosa può provocare un così radicale passage de la ligne? Chiunque sia l’assassino non ha fatto i conti con Maigret, e con il suo ossessivo accanimento…
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