Questa è la pagina dedicata a Livio Pepino.
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Un ebreo contro: Intervista a cura di Livio Pepino
Forti con i deboli
Il rifiuto dei forti di accettare, anche per sé, le regole poste per gli altri cittadini, prima tra tutte la sottoposizione al controllo giudiziario dei comportamenti potenzialmente illeciti, sta scardinando le basi del diritto uguale e dello Stato di diritto. Pressati da vent’anni di campagne mediatiche da parte di una destra ostile e di una sinistra che sembra unita solo nell’appoggio alla magistratura, pensiamo che l’amministrazione della giustizia sia oggi votata al controllo dei poteri forti e resti a volte l’unico argine di fronte all’arroganza della politica: abbiamo sotto gli occhi maxi processi di mafia, inchieste sulla corruzione, indagini sulle condizioni di lavoro… Ma forse si tratta solo di un’illusione. In quest’analisi lucida e senza sconti Livio Pepino, protagonista di quarant’anni di magistratura nel nostro Paese, spiega come, a dispetto di quanto ci viene raccontato, i risultati della giustizia nel contrasto dei poteri forti sono in realtà assai ridotti e, nell’ultimo decennio, in costante diminuzione. Al contrario, nel generale disinteresse, le carceri continuano a riempirsi delle fasce più deboli della società: migranti, tossicodipendenti, manifestanti senza copertura politica. Una deriva autoritaria che sembrava superata e che sta invece tornando con forza. Pepino lancia così un allarme di estrema serietà: perché si può e si deve immaginare una giustizia davvero uguale. È un obiettivo che riguarda tutti noi.
Grammatica dell’indignazione
Prove di paura: Barbari, marginali, ribelli
Il potere e la ribelle. Creonte o Antigone? Un dialogo
Creonte è un tiranno cinico e senza pietà o un governante attento alle sorti della città? E Antigone è un simbolo di libertà e di difesa dei diritti fondamentali o una ribelle senza progetto destinata alla sconfitta? La tragedia di Sofocle continua a parlare alla modernità. E il conflitto che in essa va in scena attraversa le più drammatiche vicende contemporanee: il caso Moro, il terrorismo, la tortura e il carcere, il significato e i limiti della disobbedienza civile (da ultimo esplosa a fronte della chiusura dei porti italiani a migranti salvati in mare). Sullo sfondo i dilemmi di sempre: autorità e libertà, diritti e potere. Su questi temi, a cavallo tra giustizia e politica, si confrontano – l’uno a sostegno di Antigone, l’altro di Creonte – due magistrati che hanno vissuto intensamente le vicende degli ultimi decenni del Paese in settori diversi della giurisdizione.
Prove di paura. Barbari, marginali, ribelli
Il fantasma della paura attraversa le società contemporanee. Ci sono, alla sua base, fatti eterogenei: la crisi economica, l’impoverimento diffuso, l’incertezza sul futuro, la novità oscura della globalizzazione, il disordine sociale, il terrorismo, la criminalità di strada. Ma è quest’ultima ad essere isolata e strumentalizzata da media alla ricerca di scoop e da una politica miope, priva di tensione morale e interessata solo al consenso. Così, anche se la criminalità non aumenta e l’immigrazione dà futuro a una società altrimenti in esaurimento, crescono il carcere e il razzismo. E la collettività individua i suoi nemici: i barbari, i marginali, i ribelli. Non è la prima volta nella storia. Ma sempre ha prodotto guasti e tragedie.
A un cittadino che non crede nella giustizia
“La giustizia resta un malato grave, le cui condizioni, in mancanza di cure appropriate, si aggravano con il passar del tempo. Eppure è sempre più evidente che senza giustizia deperisce la qualità della convivenza civile. Per questo non vogliamo concederci il lusso della rassegnazione e del silenzio e continuiamo a ragionare, cercando di mettere le nostre esperienze professionali e l’analisi da esse suggerite a disposizione di chi vuole un rinnovamento profondo della giustizia (che – ne siamo convinti – è un malato curabile, a condizione che lo si voglia davvero curare …).” (Gian Carlo Caselli).
Giustizia e referendum. Separazione delle carriere, Csm. incarichi extragiudiziari
La lentezza della giustizia è un problema non solo italiano. Ma nel nostro paese l’intero sistema giustizia è largamente insoddisfacente. Normative inadeguate, scarsità di risorse, disfunzioni organizzative, ritardi nell’informatizzazione, personale amministrativo male utilizzato e distribuito, insufficiente attenzione dei magistrati alla funzionalità del servizio. In questo quadro si inseriscono i referendum per la «giustizia giusta» Lo slogan è seducente, ma non basta ad assicurare la congruità dello strumento con i fini dichiarati. Anzi, il rischio è una riduzione del controllo di legalità. Per ciascuno dei tre referendum ammessi dalla Corte Costituzionale (separazione delle carriere, abolizione degli incarichi extragiudiziari e modifica del sistema elettorale del Csm) il volume si propone di offrire la documentazione essenziale e una sintetica analisi degli effetti dell’eventuale successo referendario. Di là dalle valutazioni sui singoli quesiti, si pone anzitutto una questione di corretta esplicazione dei contenuti dei referendum: l’utilizzo dello strumento della democrazia diretta su temi ad alto tasso di tecnicismo richiede un’informazione puntuale e non ristretta agli addetti ai lavori; altrimenti è vicina la deriva verso un plebiscito pro o contro i magistrati.
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