Questa è la pagina dedicata a Marco Pastonesi.
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Il leone e il corazziere. L’anima del rugby in Carwyn James e Doro Quaglio
Carwyn James, gallese, laureato in lettere, e Isidoro Quaglio, rodigino, laureato all’università della strada: due uomini di rugby. Carwyn, un visionario sfuggito alle miniere, giocatore del Llanelli e del Galles, poi allenatore dei British and Irish Lions. Doro, ex corazziere scampato a un’alluvione, giocatore del Rovigo e del Bourgoin, poi allenatore della Nazionale italiana. Carwyn il teorico della libertà, dell’improvvisazione, della creatività, che spingeva i suoi giocatori a pensare, mentre Doro li invitava a fraternizzare. Carwyn che attraverso il rugby insegnava Shakespeare e Milton, e Doro che grazie al rugby esorcizzava povertà ed emarginazione. Carwyn che viveva di arte e poesia, Doro che si nutriva di calore umano. Un giorno si incontrarono a Rovigo, uno in panchina, l’altro ancora in campo, e da allora non si sarebbero più lasciati, neanche quando Carwyn a sorpresa «passò il pallone ovale» – come amano dire i rugbisti -, ovvero passò a miglior vita. Questa è la loro storia, tra mischie chiuse e touche rapide, orazioni negli spogliatoi e bevute nelle osterie, gesti rituali e azioni scaramantiche: una doppia storia ovale, che è anche una dichiarazione d’amore per uno sport che è molto più di uno sport, che è un patrimonio di valori, un’eredità di avventure, una miniera di episodi, un senso di appartenenza.
Opinioni:
Una doppia storia ovale, che è anche una dichiarazione d’amore per uno sport che è molto più di uno sport, che è un patrimonio di valori, un’eredità di avventure, una miniera di episodi, un senso di appartenenza. – LaFeltrinelli
Pantani era un dio
In quasi dieci anni di professionismo Marco Pantani ha vinto poco più di una trentina di corse, un bottino modesto se paragonato a quelli di Coppi o Merckx, Moser o Cipollini. Eppure il Pirata ha conquistato la storia e il popolo del ciclismo come da tempo nessuno riusciva a fare. Perché era uno scalatore che veniva dal mare. Perché è decollato sul Mortirolo e sul Galibier ma è precipitato nella cocaina e nella depressione. Perché inseguiva l’amore ma finiva a puttane. Perché era un uomo solo. Nel decennale della scomparsa, Marco Pastonesi ricostruisce la carriera di Pantani raccogliendo le testimonianze inedite di chi lo ha frequentato da vicino: i suoi gregari, i dirigenti sportivi, gli amici delle piadinerie. Una polifonia di voci inattese che restituiscono la Romagna da cui non si è mai separato, le montagne che lo hanno consacrato a mito, gli scalatori del passato di cui è stato erede, e le debolezze dell’uomo: il doping, qui raccontato da una prospettiva che scardina i luoghi comuni sul fenomeno, e la droga. “Se Pantani era un solista, e un solitario,” scrive l’autore nell’introduzione “questo libro è il coro delle tragedie greche, è la banda che accompagna un feretro nei funerali di New Orleans, è cento cantastorie che raccontano le gesta di un guerriero, di un bandito, di un pirata, ed è anche una cartina geografica. Qui non c’è giudizio, non c’è sentenza, non c’è verdetto, non c’è ordine di arrivo né classifica generale. Ognuno ha la sua versione”.
Ernesto Colnago. Il maestro e la bicicletta. Conversazione con Marco Pastonesi
Ernesto Colnago ripercorre la sua storia (l’infanzia povera, le avventure come corridore, l’inizio dell’attività da garzone a operaio, la dura strada da meccanico ad artigiano, le creazioni da eccellenza del Made in Italy), la sua geografia (dai Giri d’Italia al seguito di Fiorenzo Magni ai Tour de France al servizio di Eddy Merckx, dai Mondiali di Vittorio Adorni e Giuseppe Saronni alle Olimpiadi non solo con l’Italia ma anche con la Russia), la sua scienza (l’età dell’acciaio, l’età dell’alluminio, l’età del carbonio), tra incontri (con Fausto Coppi, Gianni Brera, re Juan Carlos…) e folgorazioni (con Tullio Campagnolo, Enzo Ferrari, papa Wojtyla…). E ancora: pensieri e certezze rotonde, filosofia e religione del lavoro, fino alla clausura per la pandemia e alla nuova esplosione delle due ruote. Al centro della sua vita, la bicicletta: «Pedalare è un bellissimo verbo di movimento: ci sono i piedi come radice, ci sono le ali come suffisso, e c’è lo stesso infinito – are – di andare e volare, ma anche di pensare e immaginare, disegnare e organizzare»
Il grande Guerra
Passista, inseguitore, cronoman, Learco Guerra negli anni Trenta è stato il corridore italiano più amato dai tifosi: su di lui riversarono l’affetto e la passione popolare che non seppero destinare al suo grande rivale, Alfredo Binda, lucido, freddo e scientifico. Un Mondiale (1931, a cronometro), un Giro d’Italia (1934), una Milano-Sanremo (1933), un Giro di Lombardia (1934) e, ancora, due volte secondo al Tour de France (1930, 1933), e due volte secondo al Mondiale (1930 e 1934), più un’ottantina di corse vinte sempre come se andasse all’assalto del traguardo: d’impeto, di potenza, di prepotenza. Nasce così il mito de La Locomotiva umana: «Quello lì va come un treno» Gran complimento andare come un treno quando invece si hanno due ruote sottili a trazione umana. Rapportone, ventre a terra, e giù a mulinare, a spadellare, a pistonare. Poi, ritiratosi dalle corse, a partire dal 1945, come direttore sportivo Guerra apre la strada alle numerose vittorie di campioni stranieri come Hugo Koblet, Charly Gaul, Federico Bahamontes e Rik Van Looy. A centovent’anni dalla nascita (15 ottobre 1902), Claudio Gregori e Marco Pastonesi, due firme eccellenti del giornalismo sportivo italiano, raccontano l’appassionante vicenda biografica de Il grande Guerra.
Mia: Come sono diventato lo Zar fra pallavolo e beach volley, amore e guerre
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