Questa è la pagina dedicata a Tommaso Avati.
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Il silenzio del mondo
Questo romanzo narra una saga familiare che si svolge in un periodo di tempo che va dall’avvento del fascismo fino ai giorni nostri. È la storia di tre donne: nonna, madre e figlia, tutte non udenti. Rosa viene dal tempo antico e contadino. Impara una lingua simile a quel che vede e tocca: forte e sanguigna. Quella lingua è come una madre, se la porta con sé fino alla fine, e per essa si scontra col mondo civilizzato che non la capisce, e che lei non può comprendere. Da Rosa nasce Laura, che cresce nella grande città, conosce la lingua della gente, la governa, la padroneggia. Ma quella lingua che tutti parlano in realtà non le appartiene. Riconoscerlo è doloroso, richiede fatica, ci vuole coraggio. Una volta accettata la verità, sarà difficile tornare indietro. E da Laura nasce Francesca che è il prodotto dell’oggi. Parla la lingua di tutti, usa codici sofisticati, alterna tivi, evoluti. Ma Francesca sospetta che non bastino, lo capisce poco alla volta mentre l’ansia del mondo lentamente la assale. «È una storia che mi riguarda» ha scritto Tommaso Avati, «perché parla della sordità che io conosco per averla sperimentata sulla mia pelle fin dalla nascita. So cosa voglia dire non udire, vivere in un mondo ovattato e separato, distante e mai davvero raggiungibile dagli altri, persino dai tuoi cari» Ora questo mondo ovattato e separato, per certi versi irraggiungibile, è diventato un romanzo, tutto al femminile, pieno di poesia, sorprendente e di una spietata dolcezza.
Opinioni:
Il silenzio del mondo è un romanzo sulla diversità dell’essere sordi, sul linguaggio, sul dolore del comunicare. Un libro dove i gesti sostituiscono le parole, dove l’ascolto è qualcosa che va inventato nuovamente, ogni giorno. Ma è anche un romanzo che l’autore ha cucito per sé. – LaFeltrinelli
L’avrebbe ricordata per sempre, fino a che fosse vissuta: era sorda come lei ma aveva questo misterioso e favoloso potere, la capacità magica di tenere le parole tra le dita – Anonimo
Ogni città ha le sue nuvole
Finalista Premio John Fante Opera prima 2017 Tommaso Avati scrive un romanzo di formazione luminoso come i cieli di Roma, in cui tratteggia la spensieratezza e le contraddizioni dell’adolescenza, e fa rivivere, attraverso odori, musiche e film, lo splendore di quei primi anni Ottanta. E’ tutto un altro cielo quello sotto cui si ritrova Alessandro Campolungo, quando, nei primi anni Ottanta, con la madre e la sorella si trasferisce da Bologna a Roma. E’ tutto un altro mondo e integrarsi, per un quattordicenne con la media dell’otto e il mito di “Quark” e di Piero Angela, non è facile. Tommaso Avati scrive un romanzo di formazione luminoso come i cieli di Roma, in cui tratteggia la spensieratezza e le contraddizioni dell’adolescenza, e fa rivivere, attraverso odori, musiche e film, lo splendore di quei primi anni Ottanta.
Quasi tre
In fondo è facile capire le cose. Basta non pensarci Raffaele e Benedetta, undici anni di matrimonio, zero figli, due adorabili maialini d’appartamento da chiamare “bambini”. Due voci, l’una il controcanto dell’altra, che si rincorrono e ci raccontano la loro storia: lei segretaria in un’agenzia romana per lo spettacolo e appassionata di cucina, lui sceneggiatore mancato riciclatosi insegnante, figlio d’arte in attesa perenne di sfondare nel mondo del cinema. Un rapporto ormai cristallizzato in una routine distratta, il loro, eroso dall’abitudine e dalla delusione di non essere riusciti a fare della propria esistenza qualcosa di cui andare fieri. Poi accade l’impensabile. A quarantasei anni, quando già comincia a pensare alla menopausa, Benedetta rimane incinta: il caso, con grande ironia, inizia a giocare con Lele e Benny, concedendo loro un’altra possibilità, l’occasione per riprendere il controllo del loro matrimonio e delle loro vite. Ma a volte non c’è niente di meglio di un “secondo tempo” per rimescolare le carte di una vita intera: tra genitori disfunzionali e colleghi sull’orlo di una crisi di nervi, Lele e Benedetta vengono risucchiati in un turbine di incomprensioni, aspettative malriposte e disavventure esilaranti, dove la posta in gioco è un amore dolceamaro, quasi acido. Insomma, un amore normale.
Opinioni:
Se la vita non ha senso dell’umorismo, riscrivila. – LaFeltrinelli
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