Chiamalo sonno
Nel 1934 “Chiamalo sonno”, opera prima di uno sconosciuto newyorchese di 28 anni, fu accolto dalla critica come un capolavoro. Poi l’oblio. Henry Roth si ritirò nel Maine ad allevare anatre, e per decenni il suo silenzio fu interrotto solo da qualche raro racconto. Nel 1960 influenti critici promossero la ristampa del romanzo, che in pochi anni conobbe uno straordinario successo di pubblico. Ambientato nel quartiere ebraico di New York, ha per protagonista il piccolo David Schearl, emigrato nella «Terra dorata» nel 1907 dalla Galizia e cresciuto in una torbida atmosfera famigliare, fra l’oscuro terrore che nutre per il padre e l’amore incondizionato per la madre. Si può leggere “Chiamalo sonno” come un romanzo di formazione, come un memorabile affresco storico della New York dei primi del secolo, come un’epopea della comunità ebraico-americana, fra esilio e appartenenza. Ma a farne un classico della letteratura del primo Novecento è la maestria di Roth nel filtrare questi elementi narrativi attraverso lo sguardo sensitivo e incantato di un bambino che si misura con il mistero della vita e scopre Dio, la morte, il sesso e l’amore, l’amicizia e il tradimento in un ineffabile cammino di iniziazione in cui tutto è epifania.
Call it sleep
Una roccia per tuffarsi nell’Hudson. Alla mercé di una brutale corrente
“Una roccia per tuffarsi nell’Hudson” racconta la progressiva liberazione dalla presa claustrofobica della famiglia, l’emancipazione di un ragazzo che inizialmente vive soprattutto di riflesso, attraverso gli altri, in un processo innescato da una forte ambizione e da una potente spinta sessuale. Dal quartiere ebraico del Lower East Side dov’era cresciuto, l’adolescente Ira parte alla scoperta della metropoli: principale teatro delle sue imprese sarà un quartiere irlandese di Harlem, ma dopo esser stato espulso dal liceo per il furto di una penna, l’introverso Ira farà mille mestieri, si spingerà verso lo Yankee Stadium, risalirà l’Hudson, per tornare agli studi al New York City College, dove entrerà in contatto con le nuove esperienze del modernismo.
La macchia umana

Il professor Coleman Silk da cinquant’anni nasconde un segreto, e lo fa così bene che nessuno se n’è mai accorto, nemmeno sua moglie o i suoi figli. Un giorno però basta una frase (anzi una sola parola detta per sbaglio, senza riflettere) e su di lui si scatenano le streghe del perbenismo, gli spiriti maligni della “political correctness”. Allora tutto il suo mondo, la sua brillante vita accademica, la sua bella famiglia, di colpo crollano; e ogni cosa che Coleman fa suscita condanna, ogni suo gesto e ogni sua scelta scandalizzano i falsi moralisti. Non c’è scampo perché “noi lasciamo una macchia, lasciamo la nostra impronta. Impurità, crudeltà, abuso, errore, escremento, seme: non c’è altro mezzo per essere qui”.
Opinioni:
Tutti noi lasciamo una “macchia” al nostro passaggio: errori, escrementi, sporcizia. Lo dice Philip Roth, che in questo libro scrive il suo manifesto più crudele e più amaro. Una lectio magistralis del Professore Coleman Silk sul pensiero “politicamente scorretto” seguita da 92 minuti di applausi. – LaFeltrinelli
Il miglior romanzo di Philip Roth – Nadine Gordimer
Papà parlami di te: La tua vita, i ricordi. Le nostre radici

Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.