Bentornati nel progetto Migliori Libri, il canale dove i lettori tornano in cerca di ispirazione per il loro prossimo libro ideale.
Oggi vi presento un autore che ieri ho avuto paura di leggere e che oggi ho paura a presentarvi, essendo forse la sua la scrittura la più complessa, particolare ed erudita che io mi sia trovata a leggere.
Oggi parliamo di Jorge Luis Borges, poeta, saggista e scrittore argentino tra i più influenti del 900.
Biografia
Borges era un bambino bilingue, con una precoce vocazione letteraria che lo portò a scrivere da subito.
Nel 1914 a famiglia emigrò in Spagna e non riuscì a tornare a causa della guerra mondiale.
Praticò quindi gli studi liceali a Ginevra, che portarono alla nascita di una passione per la filosofia per la filosofia, e a studiare il tedesco solo per leggere i filosofi tedeschi.
Frequenta poi gli ambienti letterari, dove impara l’utilizzo delle metafore – elemento stilistico fondamenta il borges – dai poeti Ultraisti.
Torna a buenos aires in fase di formazione identitaria dell’Argentina e scrive “Finzioni”, considerato dalla critica una rivoluzione.
Da finzioni in poi il mondo si accorge dell’esistenza della letteratura argentina e sudamericana.
Primo impatto con Borges
Troverete ovunque Borges etichettato come un mostro dalla cultura sconfinata, un personaggio impressionante, la cui letteratura è caratterizzata da un contrasto spiazzante per chiunque vi si approcci, che unisce temi fantastici e astratti a uno stile di scrittura rigoroso e preciso… quasi matematico.
Chi apre Borges per la prima volta si trova davanti una salita ripidissima, che come un setaccio filtra subito via tutti quelli che non abbiano almeno un certo grado di masochismo per la lettura, o una ferrea volontà di elevare la propria cultura su un piano superiore.
E Come se non bastasse l’oggettiva difficoltà della scrittura di Borges, chiunque vi si appassioni e decida di permanere nella sua irreale realtà labirintica, finisce puntualmente per descriverlo usando un gergo colto e filosofico, che ancora una volta mette i bastoni tra le ruote ai profani, che finiscono per chiedersi chi glielo faccia fare e per ripiegare su prose più umane.
Ricordandomi quanto ho faticato io a districarmi tra le maglie di Borges, oggi vorrei tentare umilmente l’impresa impossibile di introdurlo con leggerezza ai neofiti, perché so che mi ringrazieranno quando superato il classico blocco marmoreo iniziale riusciranno finalmente a vedere l’aleph da tutti i punti. Nell’aleph la terra e nella terra di nuovo l’aleph. E nell’aleph la terra.
Stile di scrittura di Borges
Borges è un incrocio strano tra poeta e saggista, che ha espresso al meglio il suo acuto pensiero con una narrazione che è a sua volta incrocio tra prosa e poesia.
È uno scrittore che ha letto infinitamente più di quanto ha scritto, e che ha convogliato tutto il sapere acquisito in pochi testi poetici e densi di temi e significato, nei quali ha giocato con la filosofia come un bambino gioca con colori e costruzioni.
Le dimensione artistiche per le quali Borges è più conosciuto, sono poesie e racconti brevi…
Proprio con i racconti Borges è riuscito a raggiungere il picco della propria carriera di scrittore.
Borges scrive enigmi letterari miscuglio di “fantasia e realtà” e lascia al lettore il dovere e il piacere di decifrarli, perché per lui, cultore della lettura, l’uomo è ciò che legge più di quanto non sia ciò che scrive.
Sarà quindi normale e necessario per “i più” (me Silvia compresa), andarsi a cercare il significato di molte complesse locuzioni filosofiche… termini inusuali e lontani dal quotidiano… e fatti storici riportati qua e là, in un dubbio costante su quanto del testo corrisponda a sogno e quanto a realtà.
Comunque sia… se non mollerai e insisterai nella lettura e rilettura delle opere più rappresentative di Borges, prima o dopo ti si accenderà una lampadina.
Inizierai a capire che quelli che stai leggendo altro non sono che puntini numerati da collegare per comporre a mo’ di settimana enigmistica una figura… concreta, ma straordinaria… che corrisponde a ciò che Borges ci sta esponendo… che tra l’altro non necessariamente corrisponderà al suo punto di vista personale.
Introduzione a “Fervore di Buenos Aires”.
Questo intento traghettatore è sottolineato con la sua solita e destabilizzante poetica nell’introduzione alla sua prima raccolta di poesie “Fervore di buenos aires”, pubblicata nel 23 (quindi a soli 24 anni) e definita da molti un preludio a tutta la sua produzione successiva.
Un’avvertenza che diventa paradigma e chiave di volta per comprendere la fine parabola creativa borghesiana.
Cito testualmente:
«A chi mai leggerà.
Se le pagine di questo libro consentono qualche verso felice, mi perdoni il lettore la scortesia di averle usurpate io previamente.
I nostri nulla differiscono di poco; è banale e fortuita la circostanza che sia tu il lettore di questi esercizi, ed io il loro estensore.”
Borges si dichiara quindi solo “estensore” di esercizi letterari, e non creatore diretto… come se questi fossero già esistenti in numero infinito nell’etere, e il compito dello scrittore fosse solo quello di recuperarli e concretizzarli su carta.
Questo, almeno nel mio caso, mi ha aiutato molto a dare un senso immediato a ciò che stavo leggendo durante il mio approccio totalmente profano a Borges, e spero possa fare lo stesso con voi.
Fervore di Buenos Aires. Testo spagnolo a fronte
Non ho riscritto il libro. Ne ho mitigato gli eccessi barocchi, ho limato asperità, ho cancellato sentimentalismi e vaghezze” dichiara Borges ripresentando nel 1969 la sua prima raccolta poetica. Il giovane ultraista colpevole di “innocenti novità rumorose” che l’aveva pubblicata nel 1923 e colui che ora “si rassegna o corregge” sono inequivocabilmente la stessa persona: “entrambi diffidiamo del fallimento e del successo, delle scuole letterarie e dei loro dogmi;” confessa “entrambi veneriamo Schopenhauer, Stevenson e Whitman” – e “Fervore di Buenos Aires” prefigura “tutto quel che avrei fatto in seguito”. Diagnosi non si potrebbe più precisa. Buenos Aires, non c’è dubbio, è la protagonista assoluta: ma non si tratta della città ‘moderna’ che con la “schiamazzante energia di certe vie centrali e l’universale plebe dolente che frequenta i porti” incantava l’avanguardia. Al suo cuore spurio Borges contrappone le tracce di un tempo perduto: i patios “che hanno fondamenta / nella terra e nel cielo”, i crocevia “trafitti / da quattro lontananze senza fine”, e soprattutto i sobborghi “riflesso del nostro tedio”, luogo simbolico dell’identità criolla. E non è un caso che Buenos Aires dischiuda i suoi segreti al crepuscolo, quando il silenzio che abita gli specchi “ha forzato il suo carcere”, o di notte, allorché gli orologi “spargono un tempo vasto e generoso”.
Da cosa iniziare a leggere Borges?
Passiamo quindi alle opere… Con cosa iniziare a leggere Borges?
Ben più che in altri casi, con questo autore è importante selezionare bene l’opera che farà da primo approccio, proprio perché data la già sottolineata difficoltà, basterà un niente per fare la differenza tra continuare o interrompere la lettura.
Mentre dal lato poesia potete stare tranquilli, dato che cercando poesie, troverete poesie, dal lato racconti il discorso cambia, perché cercando prosa non troverete prosa, troverete Borges.
Le raccolte di racconti
L’aleph
«Accettiamo facilmente la realtà, forse perché intuiamo che nulla è reale.» Un pensiero insieme lucido e appassionato guida questi racconti, nei quali un’invenzione ardente e temeraria tocca, con esito spesso drammatico o patetico, temi universali: il tempo, l’eternità, la morte, la personalità e il suo sdoppiamento, la pazzia, il dolore, il destino. Temi universali uniti al sentimento dell’unicità irripetibile dell’esperienza individuale, in uno scrittore che si presenta, innanzitutto, sotto l’aspetto dell’eleganza.
Finzioni
«L’esile volume di 146 pagine sfidava la nostra immaginazione di diciottenni innamorati delle visioni di Jim Morrison e di William Blake con una visionarietà ironicamente erudita, minuziosa fino a sembrare perversa e abbastanza vaga da spingerci a cercare di decifrarla come una lingua straniera. Ora “Finzioni” torna in una nuova e splendida versione italiana accresciuta dai tre racconti che Borges vi aggiunse… E a percorrere di nuovo i sentieri biforcuti dell’argentino, a rileggere certi memorabili attacchi, ci si accorge non solo che il loro potere pacatamente incantatorio è immutato, ma in qualche modo si è ramificato, come in un racconto di Borges. Che cosa è successo? Solo che quasi tutta la letteratura degli ultimi quarant’anni, da Calvino a Pynchon a Molina a infiniti altri, si è confrontata o scontrata con l’universo onirico e lievemente delirante scaturito da “Finzioni”.» (Giuseppe Montesano)
Il libro di sabbia
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Nel febbraio del 1969, a Cambridge, su una panchina davanti al fiume Charles, Borges incontra un uomo che ha la sua stessa voce e gli è più intimo di un figlio nato dalla sua carne. L’uomo è Borges ventenne, a Ginevra, seduto su una panchina davanti al fiume Rodano. Comincia così, con un vertiginoso ritorno al «vecchio tema del doppio» e alle atmosfere lucidamente visionarie degli scritti degli anni Quaranta, “Il libro di sabbia”, che raccoglie tredici, memorabili, racconti – cui se ne aggiungono qui, in appendice, altri quattro. Racconti di carattere fantastico. O forse sogni. O forse incontri con apparizioni spettrali. «In questi esercizi da cieco» scrive Borges «ho voluto essere fedele all’esempio di Wells: la congiunzione di uno stile piano, a volte quasi orale, con una trama impossibile» – e il risultato è una prosa pacata ed essenziale, ma come non mai modulata e musicale.
Il modo più soft per capire di cosa sto parlando, è a mio parere l’acquisto di Finzioni e L’aleph, trovi i link in descrizione.
Queste 2 raccolte di racconti (prima Finzioni, e poi l’Aleph), hanno contribuito a rivoluzionare la letteratura sudamericana del 900, definendone e limandone i canoni insieme a Marquez… Ma anche alla Allende, della quale abbiamo già parlato nell’episodio che trovi qui in alto, e in descrizione.
Nonostante io avessi puntato inizialmente tutto su Finzioni, non sono riuscita a far scoccare la scintilla fino a quando anni dopo non ho letto l’Aleph… Nello specifico galeotto fu l’ultimo racconto, che si chiama proprio L’Aleph.
Solo a quel punto sono finalmente riuscita a vedere la maestosità di Finzioni, anche se ad oggi sono certa che gran parte del fascino di questi libri mi derivi dall’impossibilità di comprenderli fino in fondo.
Dato che siamo tutti diversi il mio consiglio per il primo approccio è di prenderli entrambi. Questo vi permetterà una doppia possibilità di restare meravigliati, o morire di noia.
Nel secondo caso comunque, metteteli da una parte e ritentate tra qualche tempo… perché Borges purtroppo va affrontato al momento giusto, e nessuno può sapere quando sia.
Comunque…
In questi libri l’autore trovò il suo stile unico. Se avete sentito qualcuno utilizzare il termine “Borgesiano”, sappiate che si stava riferendo allo stile che avvolge in un calore mistico queste due perle della letteratura mondiale.
Questi 2 volumi propongono racconti di poche pagine con trama finemente costruita a partire da riferimenti letterari eruditi e filosofici, e sviluppata tramite metafore e allegorie che girano intorno a temi ricorrenti di Borges, quali gli specchi, il tempo, la biblioteca e il labirinto.
Finzioni
Contenente racconti fantastici scritti tra il 35 e il 44, Il libro è diviso in due sezioni, “Il giardino dei sentieri che si biforcano” e “Artifici“, entrambi preceduti da un prologo che tenta invano di definirne una chiave di lettura.
Finzioni
«L’esile volume di 146 pagine sfidava la nostra immaginazione di diciottenni innamorati delle visioni di Jim Morrison e di William Blake con una visionarietà ironicamente erudita, minuziosa fino a sembrare perversa e abbastanza vaga da spingerci a cercare di decifrarla come una lingua straniera. Ora “Finzioni” torna in una nuova e splendida versione italiana accresciuta dai tre racconti che Borges vi aggiunse… E a percorrere di nuovo i sentieri biforcuti dell’argentino, a rileggere certi memorabili attacchi, ci si accorge non solo che il loro potere pacatamente incantatorio è immutato, ma in qualche modo si è ramificato, come in un racconto di Borges. Che cosa è successo? Solo che quasi tutta la letteratura degli ultimi quarant’anni, da Calvino a Pynchon a Molina a infiniti altri, si è confrontata o scontrata con l’universo onirico e lievemente delirante scaturito da “Finzioni”.» (Giuseppe Montesano)
L’Aleph
“L’Aleph”, invece, viene pubblicato nel 49 e contiene 17 racconti in 170 pagine. L’aleph vi trascinerà in un caos ordinato per farvi riflettere – con una serie di paradossi a dir poco eleganti – sulla morte, sulla personalità e il suo sdoppiamento e sull’esistenza stessa dell’individuo.
Se Letti questi 2 libri vi sarete finalmente innamorati di Borges, allora leggerete ben più volentieri gli altri, in un costante stupore ed esercizio mentale.
L’aleph
«Accettiamo facilmente la realtà, forse perché intuiamo che nulla è reale.» Un pensiero insieme lucido e appassionato guida questi racconti, nei quali un’invenzione ardente e temeraria tocca, con esito spesso drammatico o patetico, temi universali: il tempo, l’eternità, la morte, la personalità e il suo sdoppiamento, la pazzia, il dolore, il destino. Temi universali uniti al sentimento dell’unicità irripetibile dell’esperienza individuale, in uno scrittore che si presenta, innanzitutto, sotto l’aspetto dell’eleganza.
Successione logica
Non starò neanche a consigliarvi i racconti che mi sono piaciuti di più, perché per giudicare Borges ci vorrebbe un altro Borges, quindi passiamo piuttosto ad altre letture che vi potrebbero consentire di addentrarvi ulteriormente nel suo universo labirintico.
Il libro di sabbia
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Nel febbraio del 1969, a Cambridge, su una panchina davanti al fiume Charles, Borges incontra un uomo che ha la sua stessa voce e gli è più intimo di un figlio nato dalla sua carne. L’uomo è Borges ventenne, a Ginevra, seduto su una panchina davanti al fiume Rodano. Comincia così, con un vertiginoso ritorno al «vecchio tema del doppio» e alle atmosfere lucidamente visionarie degli scritti degli anni Quaranta, “Il libro di sabbia”, che raccoglie tredici, memorabili, racconti – cui se ne aggiungono qui, in appendice, altri quattro. Racconti di carattere fantastico. O forse sogni. O forse incontri con apparizioni spettrali. «In questi esercizi da cieco» scrive Borges «ho voluto essere fedele all’esempio di Wells: la congiunzione di uno stile piano, a volte quasi orale, con una trama impossibile» – e il risultato è una prosa pacata ed essenziale, ma come non mai modulata e musicale.
Per un passaggio soft da quei 2 al resto vi consiglio “Libro di sabbia”, pubblicato successivamente e anch’esso contenente racconti fantastici, e “Storia universale dell’infamia”, Scritto invece in giovane età.
Storia universale dell’infamia
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Simile a un enciclopedista cinese, Borges volle accostare una sequenza di destini tenebrosi come altrettanti «esercizi di prosa narrativa». Il tono è quello, impassibile, di chi intende «raccontare con lo stesso scrupolo le esistenze degli uomini, siano stati divini, mediocri o criminali», e ritrovarle tutte in una pura «superficie di immagini». Ma chi cercasse in questi ritratti dati certi e attendibili si ingannerebbe. Ispiratore occulto è qui Marcel Schwob, che nelle sue “Vite immaginarie” inventava le biografie di uomini «che erano realmente esistiti ma di cui non si sapeva pressoché nulla». Procedimento che in Borges si inverte: «leggevo la vita di un personaggio conosciuto e la deformavo e falsificavo deliberatamente secondo la mia fantasia». Con la sua usuale sprezzatura, Borges definì una volta queste storie «l’irresponsabile gioco di un timido». Di fatto erano il primo gioiello di una nuova specie di letteratura.
Il primo esercizio di stile col racconto fantastico Borgesiano, e composto da storie ispirate a fatti realmente accaduti… fatti che Borges cita nel finale.
Fervore di Buenos Aires. Testo spagnolo a fronte
Non ho riscritto il libro. Ne ho mitigato gli eccessi barocchi, ho limato asperità, ho cancellato sentimentalismi e vaghezze” dichiara Borges ripresentando nel 1969 la sua prima raccolta poetica. Il giovane ultraista colpevole di “innocenti novità rumorose” che l’aveva pubblicata nel 1923 e colui che ora “si rassegna o corregge” sono inequivocabilmente la stessa persona: “entrambi diffidiamo del fallimento e del successo, delle scuole letterarie e dei loro dogmi;” confessa “entrambi veneriamo Schopenhauer, Stevenson e Whitman” – e “Fervore di Buenos Aires” prefigura “tutto quel che avrei fatto in seguito”. Diagnosi non si potrebbe più precisa. Buenos Aires, non c’è dubbio, è la protagonista assoluta: ma non si tratta della città ‘moderna’ che con la “schiamazzante energia di certe vie centrali e l’universale plebe dolente che frequenta i porti” incantava l’avanguardia. Al suo cuore spurio Borges contrappone le tracce di un tempo perduto: i patios “che hanno fondamenta / nella terra e nel cielo”, i crocevia “trafitti / da quattro lontananze senza fine”, e soprattutto i sobborghi “riflesso del nostro tedio”, luogo simbolico dell’identità criolla. E non è un caso che Buenos Aires dischiuda i suoi segreti al crepuscolo, quando il silenzio che abita gli specchi “ha forzato il suo carcere”, o di notte, allorché gli orologi “spargono un tempo vasto e generoso”.
Storia universale dell’infamia
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Simile a un enciclopedista cinese, Borges volle accostare una sequenza di destini tenebrosi come altrettanti «esercizi di prosa narrativa». Il tono è quello, impassibile, di chi intende «raccontare con lo stesso scrupolo le esistenze degli uomini, siano stati divini, mediocri o criminali», e ritrovarle tutte in una pura «superficie di immagini». Ma chi cercasse in questi ritratti dati certi e attendibili si ingannerebbe. Ispiratore occulto è qui Marcel Schwob, che nelle sue “Vite immaginarie” inventava le biografie di uomini «che erano realmente esistiti ma di cui non si sapeva pressoché nulla». Procedimento che in Borges si inverte: «leggevo la vita di un personaggio conosciuto e la deformavo e falsificavo deliberatamente secondo la mia fantasia». Con la sua usuale sprezzatura, Borges definì una volta queste storie «l’irresponsabile gioco di un timido». Di fatto erano il primo gioiello di una nuova specie di letteratura.
Saggi di Borges
A questo punto passerei ai Saggi. L’atterraggio più morbido che possiate fare è su “libro degli esseri immaginari”, pubblicato inizialmente come manuale di zoologia fantastica.
Una raccolta surreale di saggi sulle creature inesistenti di cui l’umanità ha scritto in precedenza, malata quanto minuziosa.
Il libro degli esseri immaginari
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Spinto dalla passione per le strane entità sognate dagli uomini, Borges ha perlustrato nel corso degli anni letterature e mitologie, enciclopedie e dizionari, resoconti di viaggio e antichi bestiari, scoprendo tra l’altro che la zoologia fantastica è percorsa da singolari affinità: così, ad esempio il Pesce dei Terremoti, un’anguilla lunga settecento miglia che porta il Giapppone sul dorso, è analogo al Bahamut delle tradizioni arabe e al Milgardsorm dell'”Edda”. L’esito di questa sterminata ricognizione è un manuale che il lettore è caldamente invitato a frequentare “come chi gioca con le forme mutevoli svelate da un caleidoscopio”. Ritroverà così animali che già gli erano familiari, ma che ora tradiscono caratteri insospettati: come l’Idra di Lerna, la cui testa – sepolta da Ercole – continua a odiare e sognare, o il Minotauro. Imparerà a conoscere esseri che sembrano usciti dalla fantasia stessa di Borges: come la “gente dello specchio”, ridotta a riflesso servile dall’Imperatore Giallo dopo aspre battaglie, o il funesto Doppio, suggerito “dagli specchi, dall’acqua e dai fratelli gemelli”. E si imbatterà in creature di cui neppure sospettava l’esistenza: come lo hidebehind dei taglialegna del Wisconsin e del Minnesota, che sta sempre dietro a qualcosa. E sempre aleggia lo humour di Borges, il quale ci spiega compassato che la qualifica di contea palatina attribuita al Cheshire provocò l’incontenibile ilarità dei gatti del luogo, donde, con ogni probabilità, il gatto del Cheshire.
Dopodiché, raccolta di saggi con la quale chiudo questa carrellata di consigli, è “Storia dell’eternità”, che tutt’ora mi trovo a rileggere saltuariamente, che è una raccolta di saggi brevi sulla concezione del tempo stesso.
Letto questo vi direi di andare a braccio, tanto se siete arrivati fin qui, allora vuol dire che siete davvero il lettore ideale di Borges, che adesso come sempre sul finale andremo a descrivere…
Storia dell’eternità
Nel 1936, quando scrisse la Storia dell’eternità, Borges lavorava in una biblioteca rionale dimenticata in un quartiere periferico di Buenos Aires, dove la topografia ortogonale della capitale argentina si frastagliava in terreni incolti e officine e ortaglie, e dove il tempo sembrava non passare mai. Fu in quel periodo che si delinearono nella sua opera i tratti che oggi chiunque definirebbe, a colpo sicuro, borgesiani, e in primo luogo l’inclinazione a considerare tutto come materiale letterario. Così, per esempio, teologia e metafisica potevano diventare ai suoi occhi cronache della vita di un personaggio chiamato eternità, del quale egli si proponeva di restituire, attraverso episodi ben vagliati, alcune delle fasi che punteggiavano una vita infinita. Senza impedirsi, comunque, di accostare queste storie a divagazioni sulla metafora, sui traduttori delle Mille e una notte e sull’arte dell’insulto. Tale procedimento, usato da Borges con discrezione e ironia, ha una straordinaria forza dissestante, nel senso che scalza ogni affermazione dal suo piedistallo di pretesa realtà, come se la realtà stessa non fosse che un genere letterario. E nel contempo ci introduce a un nuovo genere, di cui Borges seppe essere, per un paradosso a lui congeniale, insieme il fondatore e l’epigono.
Qual è il lettore ideale di Borges?
Quindi… lettore ideale… in primis, una grossa premessa da fare della quale sono certa al 100% è che Chi ama leggere, non può non aver letto almeno un libro di questo scrittore.
Dopodiché, 2 caratteristiche fondamentali: tanta pazienza, e buona capacità di concentrazione, perché siete davanti a un autore che potrebbe volontariamente farvi perdere il filo per poi ritrovarlo quando meno ve lo aspettate.
Di conseguenza altra caratteristica del lettore di Borges, è la volontà di mettersi alla prova, e di una costante crescita intellettuale.
In ultimo, ma è praticamente ovvio, Borges è una lettura d’obbligo per chiunque sia un minimo appassionato di filosofia, in quanto offre mille appigli per riflessioni profonde, che vi consentiranno di approfondire la materia in un modo divertente e coinvolgente.
Fammi sapere tu cosa ne pensi di Borges!
Buona lettura.
Silvia.
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