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Anatomia di un genocidio. Pol Pot e i crimini dei Khmer rossi
Nei tre anni e mezzo del regime di Pol Pot più di un milione di cambogiani, un quinto della popolazione del Paese, furono giustiziati o morirono di fame. Ma in che modo un sogno utopico di prosperità condivisa si trasformò in uno dei peggiori incubi che l’umanità avesse mai conosciuto? Per comprendere questo dramma inconcepibile, Philip Short esplora la vita di Pol Pot, dai suoi primi anni fino alla morte. Trascorre quattro anni in Cambogia, intervista i capi superstiti dei Khmer rossi, tra cui il cognato di Pol Pot e l’ex capo di Stato dei Khmer rossi, e passa in rassegna gli archivi, un tempo preclusi, di Cina, Russia, Vietnam e Cambogia, per tracciare il destino di un uomo e della nazione che ha portato alla rovina.
Il pittore dei Khmer rossi. Cambogia
Vann Nath, uno dei sette sopravvissuti delle quattordicimila persone torturate e uccise nella prigione S-21 Tuoi Sleng in Cambogia, racconta la propria storia e quella del perverso regime di Pol Pot. Vann Nath era un pittore e il potere dell’immagine gli salvò la vita: è stata ritrovata la lista di prigionieri su cui campeggiava la scritta «distruggere» e dove il suo nome era stato sottolineato in rosso e affiancato dalle parole «tenere e usare» Da quel giorno il regime gli chiese di dipingere ritratti di Pol Pot e questo gli permise di giungere vivo alla fine della dittatura. Vann Nath lavorò all’apertura del Museo del genocidio e ripercorse coraggiosamente gli orrori del regime, dipingendo ciò che ricordava degli arresti, delle torture, degli omicidi. Paradossalmente, nello sterminio che costò la vita a un terzo della popolazione cambogiana, i Khmer rossi risparmiarono proprio colui che con la sua arte poteva riprodurre in immagini le loro atrocità. Vann Nath ha testimoniato al Tribunale speciale per i Khmer rossi, e i suoi dipinti sono stati usati come prove, contribuendo alla condanna all’ergastolo di Duch, il feroce direttore della prigione, per tortura, stupro, omicidio e crimini contro l’umanità. Prefazione di Lawrence Osborne.
Tornata dall’inferno. La vicenda sconvolgente di una donna sopravvissuta all’orrore dei Khmer rossi
I quattro anni di “detenzione” nel campo di lavoro costituiscono l'”inferno”, contraddistinto da condizioni disumane: fame, povertà, malattie, privazione di qualsiasi proprietà, sfruttamento del lavoro, indottrinamento dei bambini e loro reclutamento come sorveglianti o soldati, persecuzione dei borghesi e degli intellettuali, esecuzioni sommarie, violenze, vendette, corruzione, delazioni.
Ho creduto nei Khmer rossi. Ripensamento di un’illusione
Nell’aprile del 1975 i Khmer rossi presero il potere a Phnom Penh. Per Ong Thong Hoeueng, studente cambogiano emigrato in Francia, si trattò di una svolta attesa a lungo, nella convinzione che il cambiamento politico avrebbe aperto un’era di pace e prosperità in una nazione a lungo sotto il dominio coloniale. Il ritorno in patria e la speranza di trovare un paese liberato, si trasformarono presto in un incubo. Imprigionato per quattro anni con la moglie in un campo di lavoro, Houeng restituisce in questo volume una testimonianza di quello che realmente fu la dittatura dei Khmer rossi in Cambogia. Con una presentazione di Renzo Foa.
S-21. La macchina di morte dei Khmer rossi
S-21 fu il principale “ufficio di sicurezza” sotto il regime dei Khmer Rossi guidato da Pol Pot. Tra il 1975 e il 1979 in questo centro di detenzione 17 mila persone furono imprigionate, fotografate, schedate con minuzia maniacale, interrogate e torturate. Solo sette ne uscirono. In questo stesso luogo Rithy Panh ha voluto riunire, venticinque anni dopo, due sopravvissuti e alcuni ex-aguzzini, per capire come individui non particolarmente crudeli abbiano potuto progressivamente perdere qualsiasi forma di umanità.
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