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Il brigantaggio meridionale. Cronaca inedita dell’Unità d’Italia
«Negli anni ’60 del secolo scorso nel Mezzogiorno italiano c’era una guerra feroce, senza leggi internazionali da rispettare, senza prigionieri, senza trincee e retrovie. Dei due eserciti quello “vero”, con le divise in ordine e gli ufficiali usciti dalla scuola militare di Torino, se ne stava di presidio nei paesi, isolato come fosse nel cuore dell’Africa, fra gente che aveva lingua e costumi incomprensibili e, quasi sempre, un figlio o un fratello fra le montagne a tener testa agli “invasori”. Ogni tanto il presidio veniva a sapere di qualche “reazione agraria” di qualche “ribellione borbonica” e accorreva di zona in zona, sulle poche strade conosciute, a reprimere le rivolte. Dai boschi e dalle montagne scendeva allora ad affrontarlo l’esercito silenzioso dei briganti. Nei paesi intanto si rinnovavano qua e là gli incendi dei municipi e degli uffici del catasto, i saccheggi delle case dei “galantuomini”, si instauravano effimere amministrazioni che rendevano obbedienza all’esiliato Borbone. Tutto finiva con la restaurazione dei simboli dei Savoia e con la fucilazione in piazza dei briganti presi prigionieri, uomini dai volti chiusi dalle grandi barbe, dai vestiti fatti di pelli. […] Questa “guerra” durò per circa cinque anni; difficile dire il giorno in cui essa cessò del tutto giacché, naturalmente, non fu firmato alcun armistizio. Si può dire che fini quando nelle selve incendiate e semidistrutte a colpi di cannone non rimasero che poche decine di banditi mentre nelle carceri o a domicilio coatto migliaia di contadini d’Abruzzo, di Puglia, di Terra di Lavoro, di Basilicata, di Calabria, incominciavano a scontare le loro condanne. […] Lo Stato appena sorto impegnò nella repressione dei “reazionari” metà del suo esercito, circa 120.000 uomini. Il destino del contadino meridionale si delineava ormai nell’alternativa indicata da Francesco Saverio Nitti: o brigante o emigrante» (Dall’introduzione di Aldo De Jaco)
Analisi politica del brigantaggio nelle provincie meridionali
Risorgimento, brigantaggio e questione meridionale. Ediz. ampliata
Antonio Lucarelli ebbe il merito di collocare il brigantaggio nell’ambito della questione Meridionale. In questa prospettiva denunciò la stessa Borghesia del Mezzogiorno, che liberatosi dalla vicinanza borbonica ed insediatosi nelle amministrazioni rivelò pesanti limiti. Croce, Gramsci, Salvemini e Fiore apprezzarono lo spessore delle sue indagini sul Risorgimento. Oppositore del fascismo all’indomani della liberazione aderì al Comitato di Liberazione Nazionale e nel 1944 fu uno dei protagonisti del Primo Convegno Meridionalista del dopoguerra che si svolse a Bari. Molto intensa fu la sua collaborazione alla rivista “Il Nuovo Risorgimento” di Vittore Fiore i cui interventi sono qui pubblicati per la prima volta.
Fonti per lo studio del brigantaggio meridionale (secoli XVIII-XIX)
Il volume apre la Collana “I quaderni di Scienze Politiche” diretta dalla prof.ssa Francesca Fausta Gallo dell’Università degli Studi di Teramo. Le ricerche sul brigantaggio, nell’ultimo ventennio, si sono moltiplicate soprattutto grazie all’emergere di nuovi campi di ricerca e di inedite linee interpretative. Con questo volume, che scaturisce da un seminario tenutosi a Teramo nel giugno 2021, si vuole dare nuova centralità soprattutto alle fonti, a partire da quelle archivistiche. Nella prima parte del libro, i saggi degli archivisti dei principali archivi di stato abruzzesi presentano una ricognizione sulle fonti, tenendo presente una cronologia ampia, non schiacciata sul “brigantaggio post-unitario”, e provando a restituire la variegata complessità del fenomeno, al di là di precostituite e ormai superate differenziazioni tra “brigantaggio politico” e “brigantaggio sociale”. Nella seconda parte vengono presentate alcune ricerche inedite, ognuna delle quali si è concentrata sull’indagine di una fonte specifica per tipologia (fonti iconografiche, diari, fonti giudiziarie), per cronologia (dal XVIII al XX secolo), per luogo di produzione e conservazione.
Il brigantaggio post-unitario come problema storiografico. In appendice «Analisi politica del brigantaggio attuale nell’Italia meridionale» di Tommaso Cava
Il fenomeno del cosiddetto “banditismo politico” non fu solo la prima guerra civile italiana ma anche un conflitto interno alla Nazione napoletana, da leggere come fase culminante della guerra di fazione, insorta già nel 1848 all’interno della borghesia provinciale meridionale, tra “galantuomini liberali”, collusi con la camorra napoletana, la delinquenza comune, le “mafie” pugliesi, lucane, calabresi e “galantuomi legittimisti”, sostenitori e finanziatori dell’insorgenza antiunitaria (come la famiglia di Giustino Fortunato). Due ceti sociali che, dal 1860 fino almeno al 1868, si trovavano, gli uni contro gli altri armati, nella lotta intestina per l’acquisizione o la conservazione di margini di potere economico e politico, tra le cui fila l’opportunismo e l’amore per la “roba”, per citare il titolo di una novella di Giovanni Verga prevalsero, molto spesso, soprattutto nel fronte dei novatori, sulle motivazioni ideali.
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