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Il movimento del ’77. Radici, snodi, luoghi
Fratello minore del ’68, detonatore degli anni di piombo, incubatore del “riflusso”, irripetibile spazio liberato? Sfuggente a ogni definizione univoca e luogo di contraddizioni non componibili, disperato e radicale – nonostante l’insistito ricorso all’ironia e al paradosso – come solo i momenti di passaggio sanno essere, il movimento del ’77 fu effige della transizione epocale che avrebbe traghettato il paese dal secolo breve agli incerti lidi della postmodernità. Una peculiarità tutta italiana, al termine di un decennio, i Settanta, che rappresentò un tornante decisivo della modernizzazione culturale e civile, ma nel quale i conflitti sociali, la violenza politica e i fenomeni eversivi di destra e di sinistra raggiunsero livelli imparagonabili al resto d’Europa. Frutto di ricerche storiche originali, i saggi qui raccolti gettano nuova luce – affrontandone gli snodi politici, le peculiarità culturali, le articolazioni territoriali – su un movimento collettivo che si confrontò frontalmente e drammaticamente, senza alcuna ipocrisia, con la crisi che investiva i fondamenti politici e ideali della società di massa del Novecento.
La dissoluzione di Lotta continua e il movimento del ’77
Opinioni:
L’ambiente torinese offre spunti particolari per cogliere la portata dello scioglimento di Lotta continua e dell’esplosione del ’77. Ad esempio il legame profondo fra la città e la Fiat, il leggere gli avvenimenti di quegli anni quasi esclusivamente in funzione di ciò che avveniva nelle fabbriche, tralasciando le trasformazioni economiche e sociali che anche nella metropoli piemontese stavano iniziando, con un ritmo sicuramente diverso da quello della vicina Milano. Tuttavia Torino fu sempre, nel bene e nel male, la chiave di lettura della vita politica di Lotta continua. Lo fu sicuramente nel maggio del ’69, quando alle Carrozzerie di Mirafiori esplose il ciclo di lotte nelle quali confluirono sia il movimento degli studenti universitari torinesi, sia alcuni militanti di una serie di gruppi della nuova sinistra, sia infine della Fgci e del Psiup, e che produsse la nascita dell’Assemblea operai-studenti. Fu durante quella primavera che venne coniato lo slogan “la lotta continua”, e fu da quell’assemblea, non senza divisioni e contraddizioni, che si generò poi l’omonima organizzazione. Furono anni nei quali le lotte sindacali, così come quelle per la casa, contro il carovita, nelle scuole, per i diritti civili, caratterizzate dal protagonismo diretto e autonomo di una nuova generazione di uomini e di donne, videro anche e soprattutto in Lotta continua la principale forza politica disposta a raccoglierle e ad alimentarle. Quelle “tante centralità” (operaia, delle donne, dei giovani, degli studenti), come le chiamò Sofri in un suo intervento al congresso provinciale del 23-24 ottobre ’76, attraversarono anche Torino, ma a un certo punto smisero di dialogare fra loro, caddero dentro la logica degli schieramenti e non seppero evitare che le contraddizioni portassero prima alla confusione e poi alla frantumazione in un movimento non più inquadrabile dentro programmi, tattiche, mediazioni – Anonimo
Pablo Echaurren. Il movimento del ’77 e gli indiani metropolitani
La storia di Pablo Echaurren, riletta anche alla luce di nuove documentazioni, permette di approfondire i legami tra arte e contestazione, il rapporto del movimento con la stampa alternativa e, soprattutto, l’origine, la diffusione e la recezione delle pratiche artistiche e culturali del ’77.
Dai laboratori alle masse. Pratiche artistiche e comunicazione nel movimento del ’77
Il libro analizza le pratiche comunicative e artistiche del movimento italiano del ’77. I corrispondenti fatti letterari (riviste, volantini, libri), figurativi (fumetti, fotografie, locandine, dipinti murali) radiofonici e performativi (le azioni dei cosiddetti “indiani metropolitani”) vengono interpretati alla luce di un approccio metodologico in linea con le esperienze dei Cultural Studies internazionali ma con un’impronta italiana che attinge alla tradizione gramsciana e si nutre di alcune recenti elaborazioni del pensiero post-operaista, in particolare di ciò che fonda la nozione di capitalismo cognitivo. E sullo sfondo di queste acquisizioni teoretiche e metodologiche che qui si cercano di rileggere le pratiche culturali del movimento e le loro relazioni con alcuni paradigmi artistici e filosofici del Novecento, ma anche con la diffusione sociale dei mezzi di comunicazione e di produzione intellettuale. La pratica teorica del movimento italiano, già analizzata negli anni della sua affermazione da alcuni studiosi (Eco, Calvesi), è dunque interpretata come un rovesciamento del tradizionale rapporto egemonico che definisce il primato dell’arte e in generale dei “laboratori” intellettuali sulla cultura quotidiana, come una tendenza antagonistica emersa, in piena crisi della società fordista, nella generalizzazione-politicizzazione dell’arte e in forme di “autorappresentazione” in seguito regolate dai dispositivi post-industriali.
Il movimento del ’77: Radici, snodi, luoghi
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