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L’Italia e il trattato di pace del 1947
Il 10 febbraio 1947, mentre l’Italia era immobile in uno sciopero generale di protesta, con le bandiere a mezz’asta in segno di lutto, a Parigi si firmava il trattato di pace che suggellava la sconfitta del nostro paese nel secondo conflitto mondiale. Le grandi potenze – Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna e Francia – avevano punito l’Italia per l’aggressione fascista, senza tenere conto della cobelligeranza. La delegazione, guidata da Alcide De Gasperi, era riuscita con grande sforzo a far sentire la propria voce durante i negoziati ma i suoi interventi non erano bastati a ottenere miglioramenti significativi. L’Italia fu costretta fra l’altro a importanti cessioni territoriali lungo i confini occidentali e orientali, a rinunciare alle colonie e a risarcire i danni di guerra. Né la classe politica né l’opinione pubblica erano pronte ad accettare tali clausole che ritenevano ingiuste e disonorevoli. A sessant’anni dalla firma, il volume ripercorre le vicende del trattato. Attraverso la storia dei negoziati e la reazione dell’opinione pubblica e del mondo politico, sono così illustrati in i significati del trattato per l’Italia e per la sua identità nazionale.
La grande guerra e i trattati di pace. Prima e dopo il conflitto. Ediz. integrale
Le conferenze dell’Aia (1899 e 1907) e il trattato di Versailles (1919) non raggiunsero l’obiettivo di mantenere la pace ma è innegabile che in queste sedi venne avanti una complessa collaborazione di meccanismi per evitare i conflitti. Tutto, alla fine, risultò inutile perché nel 1914 e nel 1939 la parola passò alle armi. Ciò è da attribuire a determinate politiche espresse da determinati governi. Due guerre mondiali non servono a smentire una considerazione conclusiva: i rapporti internazionali devono avere una base pattizia. Al di fuori di questa non esiste speranza di pace.
Rescissione unilaterale del trattato di pace del 10 febbraio 1947. Diktat
Il trattato di pace nell’Assemblea Costituente
L’onore e la sconfitta. Politica italiana e guerre perse dal Trattato di pace del ’47 al Fiscal compact del 2012
Quando un’autorità straniera comanda in casa tua, tu sei un reduce e la guerra l’hai persa. È stato chiaro sia con la ratifica del Trattato di pace nel 1947 sia con quella del Fiscal compact nel 2012. Due guerre perse, due diversi modi di vivere il disonore: prendendolo di petto nel primo caso, tacendolo nel secondo. La prima guerra si concluse con un’umiliazione nazionale, ma lasciò intatta la sovranità dello Stato. La seconda non si è conclusa, ma con l’imposizione dell’obbligo costituzionale dei conti pubblici in pareggio e di un piano a tappe forzate di riduzione del debito, il Fiscal compact, appunto, ha privato lo Stato della sovranità di bilancio annichilendo di conseguenza la politica. Nel ’47, in aula a Montecitorio il filosofo liberale Benedetto Croce parlò di “Italia merce di scambio”, di “dignità nazionale offesa”, di “vincitori smodati”. Nel 2012 i leader politici persero la parola. Il saggio introduttivo di Andrea Cangini illumina lo stato in cui siamo, ne esplora le cause, strappa la maschera alla crisi economica e all’élite tecnocratica europeista inquadrandole in un silenzioso processo di sistematico svuotamento dello Stato. Il resoconto stenografico dei due dibattiti in aula offre l’occasione di guardare negli occhi il ceto politico nel momento della massima prova: il conforto di scoprire che siamo stati migliori, l’amarezza di vederci ridotti come siamo.
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